L’uso delle mascherine, l’igiene delle mani e il distanziamento fisico saranno misure fondamentali per la ripresa della scuola. Ma secondo gli epidemiologi è un altro il prerequisito fondamentale per la riapertura delle aule in sicurezza o quasi, perché in tempi di pandemia non esiste il rischio zero. Per tornare sui banchi è necessario che il livello di trasmissione comunitaria della covid nell’area e nel Paese sia basso.
UN LEGAME A DOPPIO FILO. Il termine trasmissione comunitaria indica una situazione in cui la fonte primaria dell’infezione non è nota e risulta difficile ricostruire la catena di contagi tra i casi rilevati. Se le scuole dovessero riaprire prima che i livelli di tramissione comunitaria siano minimi (o, pensando alla situazione italiana, quando purtroppo potrebbero non esserlo più), il ritorno in classe potrebbe contribuire a un importante aumento delle infezioni.
La ragione è la stretta relazione della scuola con il tessuto sociale e cittadino. Solo un esempio: per garantire agli studenti la possibilità di raggiungere la scuola si renderebbe ancora più indispensabile un’attenta sorveglianza sui mezzi pubblici, sempre affollati nelle ore a ridosso della campanella. Ecco perché il controllo dei contagi nelle prossime settimane sarà una questione chiave per non mettere a rischio la priorità-scuola.
SEGNALI INCORAGGIANTI. Come ricostruito in un articolo su Nature, nei Paesi che hanno riaperto le scuole mentre avevano un basso livello di trasmissione comunitaria, il ritorno sui banchi non ha comportato un ampliamento dei contagi. In Corea del Sud i ragazzi sono tornati a scuola scaglionati (prima gli studenti più grandi, poi quelli delle elementari) lo scorso maggio, quando il Paese registrava una cinquantina di nuovi casi al giorno, che per la Corea corrisponde a un caso ogni milione di persone. Le misure preventive sono comunque state imponenti: nelle scuole più affollate o nelle aree dove l’epidemia era più attiva gli studenti hanno frequentato a turni, e dove sono stati segnalati contagi si è passati prontamente alla didattica a distanza. Dopo due mesi dalla riapertura non sono state registrate impennate di casi di covid tra bambini e ragazzi under 19, e solo uno tra i 111 ragazzi risultati positivi alla CoViD-19 tra maggio e luglio avrebbe contratto l’infezione a scuola. Per gli altri, il contagio sarebbe invece avvenuto in famiglia.
ESEMPI VIRTUOSI. Un’altra ricerca condotta nello Stato australiano del New South Wales, che ha lasciato scuole e centri diurni aperti per i figli degli operatori sanitari e per chi non aveva alternative tra gennaio ed aprile, ha rilevato casi di infezione solamente in 25 delle 7.700 scuole analizzate. In quell’arco di tempo, però, il numero di nuovi casi giornalieri nello Stato era molto basso, in media di 193, ossia 24 casi ogni milione di persone. La riapertura delle scuole già a maggio non ha comportato un significativo incremento di casi anche in alcuni Paesi europei che avevano una tramissione comunitaria sotto controllo.
GENITORI. Infine, va detto che la macchina-scuola non coinvolge soltanto gli studenti. In Cile, un’impennata di casi si è verificata per via delle classi sovraffollate e – anche – per la scarsa attenzione nei contatti tra genitori e insegnanti. Ecco perché oltre alle attenzioni nel distanziamento all’interno delle classi, sarà necessario evitare assembramenti tra genitori, e tra genitori e insegnanti, all’entrata e all’uscita da scuola.