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Morta Ruth Bader Ginsburg, seconda giudice donna della Corte Suprema

Negli Stati Uniti, era nota come «Notorious Rgb», e il nomignolo, mutuato dalla cultura hip hop, ben aiutava a comprendere il fascino pop di una donna che mai si è accontentata del solo successo professionale. Ruth Bader Ginsburg, secondo giudice donna ad essere nominato alla Corte Suprema, è morta a 87 anni, nella notte tra il 18 e il 19 settembre. «È stata un colosso della legge», capace di dimostrare come si possa «essere in disaccordo senza perciò essere sgradevoli con i colleghi che siano portatori di prospettive diverse», ha twittato Donald Trump, mentre Hillary Clinton ha ricordato come la Ginsburg abbia «abbia spianato la strada a molte donne, inclusa me.

Non ci sarà mai un’altra come lei». In grado di farsi portavoce di temi che avrebbero dovuto essere naturali: di istanze di uguaglianza, giustizia sociale e progresso.

Ruth Bader Ginsburg, che ad Harvard è arrivata con una figlioletta di quattordici mesi («Sprecavo meno tempo, ero più lucida», avrebbe detto poi), si è laureata tra lo scetticismo della famiglia. I parenti non credevano che avrebbe potuto avere successo in un campo tanto maschile come la legge. «Se fallisce, almeno è sposata», andavano ripetendo, mentre la giovane incassava uno dopo l’altro i no dei grandi studi. Ruth Bader Ginsburg non è stata voluta dai colleghi. Così, si è messa ad insegnare. Le Donne e la Legge, ha intitolato il suo primo corso. E, negli anni a venire, si è impegnata tanto ad occuparsi di cause inique da attirare l’attenzione della politica. Nel 1993, la donna viene nominata da Bill Clinton alla Corte Suprema, seconda dopo Sandra Day O’Connor ad aver potuto tanto. «Mi vedevo come una maestra d’asilo che deve insegnare ai giudici che esiste la discriminazione sessuale», ha raccontato, lei che con il suo «I dissent», quando la presidenza degli Usa è passata a destra, è diventata un meme.

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