La cosiddetta “fase tre” era nell’aria da giorni, quella delle sanzioni economiche alla Russia. Provvedimenti che rappresentano «un segnale forte ai leader della Federazione Russa: destabilizzare l’Ucraina, o qualsiasi altro Stato dell’Europa orientale, comporterà costi pesanti per l’economia russa» ha tuonato il Presidente del Consiglio UE Herman Van Rompuy.
“L’accordo è stato trovato”, dicono i rappresentanti dei 28 Stati membri dell’Unione Europea, che hanno approvato un piano punitivo per Mosca che entrerà in vigore dal 1 agosto: stop all’acquisto di azioni ed obbligazioni emesse dalle banche di Stato russe, embargo delle armi, stop alla vendita di tecnologia “dual use” per fini militari e scopi petroliferi, mentre quattro “croonies” vicini a Putin sono entrati nella black-list che prevede restrizioni ai visti per l’UE e il congelamento dei beni.
Le sanzioni non sono retroattive, avranno una durata di 12 mesi e saranno sottoposte a continua revisione; inoltre, l’embargo delle armi colpisce soltanto i nuovi contratti, lasciando intatte le commesse in atto. Verrebbe da pensare che la decisione sia stata accelerata da quel tragico incidente della Malaysia Airlines che ha trascinato con sé centinaia di vittime, per la maggior parte olandesi. Non che gli occhi dell’Europa non fossero puntati sulla Russia già da tempo, dallo scoppio delle tristemente note violenze in Ucraina. E anche se le indagini non hanno ancora portato alla luce i veri responsabili, c’è già chi è pronto a giurare che dietro l’abbattimento del Boeing 777-220 ci sia lo zampino di Mosca. Come la Casa Bianca, per esempio, che accusa la Russia di fornire ai ribelli dell’est soprattutto le armi, che possono arrivare da un Paese all’altro con la facilità con cui ci si può muovere quando i confini territoriali sono praticamente inesistenti. Un po’ come l’America quasi trent’anni fa in Afghanistan.
Russia e USA, si sa, sono incapaci di guardare ciascuna al proprio orto, e si è visto a cosa abbia portato l’inasprimento dei rapporti tra le due potenze. Da parte sua, Barack Obama ha giurato che non si avrà una nuova guerra fredda, ma «se la Russia continua pagherà un caro prezzo». Frattanto si è unito anche lui alla linea adottata dal nostro continente in fatto di sanzioni nei settori dell’energia, della finanza e degli armamenti, stabilendo, in particolare, che chiunque operi sotto la giurisdizione statunitense non possa più effettuare transizioni finanziarie con la Bank of Moscow, la Russian Agricultural Bank e la VTB Bank. «Oggi la Russia si sta ancora una volta isolando dalla comunità internazionale, spostando indietro decenni di veri progressi», sono state le parole di Obama. «Non doveva andare così. E’ stata una scelta che hanno fatto la Russia e il presidente Vladimir Putin».
Il rischio, già previsto dal Ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel, sarebbe tutto economico: e cioè che il gigante russo possa portare altrove le sue forniture di gas, magari più ad est, magari alla Cina, che da un decennio ormai guardava alle risorse della Russia. Non è un caso che i due Paesi abbiano concluso un accordo da miliardi di dollari proprio dopo lo scoppio della crisi ucraina che ha acuito le tensioni tra Russia e Europa. Putin, da bravo russo qual è, come i suoi illustri predecessori insegnano, potrebbe trarre vantaggio dall’inverno per portare acqua al suo mulino. Del resto, gli scambi economici tra Mosca e l’UE ammontano a centinaia e centinaia di miliardi, con entrate da entrambe le parti. Chi dei due mollerà l’osso per primo, solo il tempo può dirlo.