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Covid: che effetto ha (se ne ha) su influenza stagionale e raffreddori?

Il dispiegamento di misure per contrastare la pandemia – come l’uso delle mascherine, il distanziamento, la frequente igiene delle mani e la riduzione degli spostamenti non necessari – ha avuto ricadute sorprendenti anche sugli altri virus respiratori. Alcuni effetti, come la netta riduzione dei casi di influenza, sono già sotto i nostri occhi. Altri saranno più chiari nei prossimi anni: la CoViD-19 ha seminato infatti le condizioni per una sorta di esperimento naturale sull’evoluzione degli altri virus – un test di cui avremmo volentieri fatto a meno.

MENO CASI DI INFLUENZA. La temuta concomitanza di covid e influenza stagionale non sembra per il momento essersi verificata. Nell’emisfero settentrionale, i lockdown di marzo 2020 hanno posto bruscamente fine alla stagione influenzale 2019-2020. La tendenza si è confermata durante la “nostra” estate nell’emisfero australe: Australia, Cile e Nuova Zelanda hanno attraversato un inverno praticamente senza influenza, con poche decine di casi su decine di migliaia di test compiuti, il tutto mentre i contagi da CoViD-19 continuavano ad aumentare. Gli esperti sperano in una nuova stagione influenzale contenuta anche nel nostro emisfero, che è però soltanto all’esordio dei mesi più critici.

MENO VIAGGI, PIÙ VACCINI. L’assenza o quasi di influenza nell’emisfero meridionale è attribuita alle misure anti-covid, ma mascherine e lockdown non bastano a spiegare una riduzione così plateale. Alcuni Paesi del Sud America non hanno avuto una risposta organizzata contro la pandemia, eppure sono stati solamente sfiorati dall’influenza. Il sospetto è che l’annullamento dei voli internazionali abbia giocato un ruolo fondamentale, perché l’influenza si sposta da un emisfero all’altro, da un inverno all’altro, insieme ai viaggiatori. Un altro contributo chiave è arrivato senz’altro dai vaccini antinfluenzali, più diffusi per i timori di infezioni concomitanti tra covid e influenza. Alcune persone potrebbero inoltre essere state riluttanti a rivolgersi a medici e ospedali sovraccaricati dalla covid.

CONSEGUENZE FUTURE. Come spiegato su Nature, la dissoluzione della pandemia di influenza potrebbe rendere difficile capire quali ceppi di virus influenzale colpiranno il prossimo anno (poiché le previsioni si compiono osservando i virus più diffusi nell’emisfero opposto). Alcuni virologi ritengono inoltre che una bassa diffusione di influenza potrebbe eliminare le varianti meno comuni e “fortunate” di virus, semplificando di molto il lavoro degli epidemiologi. Ma ci sono anche scenari più cupi, come la possibilità che i virus influenzali tornino con aumentata virulenza nelle prossime stagioni, o che la mancanza di competizione con il virus dell’influenza favorisca la diffusione di ceppi di suina, di solito tenuti a bada dall’immunità naturale ai virus influenzali.

Il contrasto alla pandemia ha tenuto a bada anche virus minori che causano sindromi parainfluenzali, oltre a patogeni più seri come il virus respiratorio sinciziale (RSV), che può causare polmonite nei bambini e contro il quale non esiste un vaccino. In Australia occidentale, i casi di RSV sono diminuiti del 98%, nonostante le scuole aperte.

UNA FORTUNA INATTESA. A fare eccezione sono i rhinovirus, all’origine di comuni raffreddori. Questi patogeni non solo non sono diminuiti, ma nell’inverno australe sarebbero stati anche più diffusi del solito (forse perché in molti, ai primi sintomi, hanno preferito sottoporsi a tampone). A differenza di coronavirus e virus dell’influenza, i rhinovirus non hanno un guscio lipidico facilmente dissolvibile dal sapone: su di loro il lavaggio delle mani non ha molto effetto. Inoltre, si trasmettono facilmente tra asintomatici.

Diversi studi stanno cercando di capire se la risposta immunitaria sviluppata contro i rhinovirus possa contribuire a difenderci dalla CoViD-19 – per esempio aumentando la produzione di interferoni, proteine che inibiscono la replicazione virale. Un’altra speranza è che la diffusione dei rhinovirus ostacoli quella del SARS-CoV-2 in una sorta di competizione virale: si è visto che i casi di infezione concomitante dei due patogeni nei pazienti sono pochi.

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