Bridgerton è una produzione Shondaland, la società americana di proprietà di Shonda Rhimes, autrice di successi come Grey’s Anatomy e Scandal. L’ideatore è Chris Van Dusen, suo collaboratore di lunga data.
La Rhimes è alla prima collaborazione con Netflix e per l’occasione decide di realizzare una serie storica pur mantenendo la sua firma: romanticismo e personaggi femminili posti in primo piano. La serie è stata lanciata a Natale su Netflix, ed ha subito raggiunto il primato tra le dieci serie più viste nel mondo. Stando alle prime indiscrezioni la serie sarebbe già stata rinnovata in segreto dai vertici di Netflix e le riprese della seconda stagione dovrebbero iniziare a marzo.
Bridgerton è ambientata nella Londra della Regency, un’epoca che va dal 1795 al 1837; periodo di eccessi per l’aristocrazia britannica, con tutto quello che ne consegue in tema di costumi, arredi, feste sfarzose. L’atmosfera dei castelli inglesi di Bath, luogo in cui la serie è stata girata, il fruscio dei meravigliosi abiti nel colore in voga all’epoca, l’azzurro polvere, i pettegolezzi, gli scandali: Bridgerton cattura lo spettatore.
I protagonisti sono ricchi, attraenti e le loro storie d’amore si intrecciano e provocano scompiglio a corte. Le giovani donne, educate ad ogni formalità, hanno un solo scopo: trovare marito e preferibilmente di ceto superiore, quanto ai giovani nobili l’infelicità è garantita se il cuore batte per una donna di classe operaia. Giungere ad un matrimonio di alto lignaggio e al tempo stesso d’amore appare quasi un miraggio.
La misteriosa Lady Whistledown – di cui è ignota l’identità sino all’ultimo episodio della prima stagione – alimenta il suo giornale con questi segreti, divulgando fatti privati della nobiltà londinese. Ad ispirare la serie della Rhimes è la saga della scrittrice americana Julia Quinn, la quale è composta da otto romanzi, il primo dei quali ‘Il duca e io’ è alla base della prima stagione. Tutti i romanzi sono stati ripubblicati in Italia da Oscar bestseller.
La storia si svolge tra il 1813 e il 1827 e narra le vicende degli otto figli del visconte Bridgerton: il primogenito Anthony, poi Benedict, Colin, Daphne, Eloise, Francesca, Gregory e la piccola Hyacinth.
Protagonista di questa prima stagione è Daphne Bridgerton, interpretata da Phoebe Dynevor, la cui bellezza è tale da aver stregato la Regina, che ha definito la giovane il «diamante della stagione». Quando suo fratello rifiuta i suoi corteggiatori, il giornale scandalistico dell’alta società londinese, gestito dalla misteriosa Lady Whistledown, diffonde calunnie sulla giovane donna. Daphne deve quindi destreggiarsi tra la sua immagine pubblica e la sua attrazione per il bel duca di Hastings, uno scapolo ricercato da tutte le madri delle debuttanti, ribelle e con un passato di grande sofferenza interiore. Nonostante i due fingano per motivi diversi di essere fidanzati, le scintille sono assicurate. Gli scandali, le ambizioni, le perversioni, tutto ciò che potrebbe far crollare i bei castelli inglesi, persino quello della Regina, la cui volontà di maritare il nipote, Principe di Prussia, con Daphne Bridgerton dovrà presto scontrarsi con l’amore che questa si scopre nutrire per il Duca.
Bridgerton è una delle prime serie frutto degli accordi inclusivi varati di recente a Hollywood per rendere il cinema più egualitario, nei temi trattati e soprattutto nella scelta degli attori.
Mentre il ruolo di Daphne Bridgerton è stato affidato a un’attrice bianca, altri personaggi sono interpretati da persone di colore e ai più alti livelli della scala sociale, ne sono un esempio la regina Charlotte (Golda Rosheuvel) e il bel duca di Hastings, interpretato da Regé-Jean Page, originario dello Zimbabwe. In tale contesto rilevante è proprio la figura della regina, una donna di colore, il cui matrimonio con il re le ha permesso di aprire le porte dell’alta società agli afro-inglesi. La regina Charlotte rappresenta tutto ciò per cui l’autrice Shonda Rhimes ha sempre lottato. E Bridgerton è il suo regno: un regno nel quale le donne possano finalmente essere il motore di una società che un tempo avrebbe voluto averle, unicamente, come mogli e madri.
A cura di Fabiana Gianchino