Riprendono alle 11 le consultazioni di Mario Draghi. Il primo colloquio sarà con il gruppo Europeisti-Maie-Centro democratico del Senato.
Poi sarà la volta di LeU, in seguito Italia viva della Camera e Italia viva-Psi del Senato. A Montecitorio toccherà quindi a Fratelli d’Italia, al Pd, a Forza Italia, alla Lega, infine al Movimento 5 stelle.
“Sono sicuro che Draghi userà la sua straordinaria esperienza e la sua forte leadership per far accadere le cose giuste“, ha detto Paolo Gentiloni, commissario Ue per l’economia in un’intervista al Financial Times online. L’ex presidente della Bce “conosce benissimo i colli di bottiglie, le difficoltà, le sfide inerenti a far avanzare le riforme in Italia”, ha osservato Gentiloni.
Intanto l’ossatura del programma c’è. E c’è una decisa proiezione europeista, a definire il perimetro della maggioranza. Dire sì o no alla fiducia al governo Draghi vuol dire anche – Matteo Salvini è avvertito – dire sì o no alla “prospettiva” di una maggiore “integrazione” dell’Unione. La squadra di governo che accompagnerà l’ex presidente della Bce in questo percorso è invece ancora un’incognita, per i partiti della sua potenziale maggioranza: la convinzione è che sarà tecnico-politica, senza i leader, con ministri scelti dal premier, ma nel dettaglio non si sa nulla e dai partiti continuano a trapelare auspici e paletti. Ai piccoli gruppi incontrati nel secondo giro di consultazioni, Mario Draghi non lascia neanche un indizio. Ma l’impressione – racconta l’esperto Bruno Tabacci – è che possa prendere ancora qualche giorno per decidere: portare la lista al Quirinale tra giovedì sera e venerdì o anche, azzarda qualcuno, all’inizio della prossima settimana.
“Presidente, la prossima volta ci incontreremo in Parlamento?”, chiede uno dei consultati, per capire se sia imminente il voto di fiducia al nuovo governo. “Vedremo”, risponde il premier incaricato, senza sbilanciarsi di un millimetro. Lo descrivono gentile, accogliente, ma anche molto netto nella sua impostazione di lavoro: ha davanti a sé alcuni appunti schematici ed illustra in poche parole i cardini del suo programma. “E’ chiaro che non si fa dettare condizioni sui temi, figuriamoci sulla squadra. La farà Draghi ascoltando solo Mattarella”, dice un deputato centrista. C’è chi ipotizza che il premier incaricato possa sentire i leader di partito dopo le consultazioni, prima di chiudere il cerchio. Ma nell’incrocio tra ministri e deleghe, emergono tutte le difficoltà nel tenere insieme una maggioranza che spazi da Leu (combattuta al suo interno se entrare o meno) alla Lega, passando da Pd e M5s.
Le posizioni, dunque. I Cinque stelle, che ufficializzeranno la scelta con un sofferto voto su Rousseau, chiedono un governo politico e quindi loro ministri: Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli, possibilmente confermati agli Esteri e allo Sviluppo economico, rappresenterebbero due delle grandi componenti del Movimento. Altrettanto fa la Lega, dove si starebbero confrontando anche in chiave interna le due anime facenti capo a Matteo Salvini (con la richiesta del leader al governo) e Giancarlo Giorgetti. Al Pd le aspirazioni degli ex ministri e delle correnti si scontrerebbero con la volontà di Draghi di scegliere i profili più adatti, di qui la spinta di alcuni per un ‘disarmo’ e l’indicazione di tecnici d’area. Il Nazareno fa sapere che ci si affida alle decisioni che il premier incaricato prenderà d’accordo con Mattarella, ma nei gruppi parlamentari si fanno i nomi di Dario Franceschini, Lorenzo Guerini e Andrea Orlando come possibili ministri politici. Matteo Renzi, da Italia viva, starebbe spingendo nella direzione di una discontinuità col precedente governo.
I leader di partito dovrebbero restare fuori, ma come tenere insieme gli auspici di M5s e Lega per Di Maio e Salvini, la possibilità che Speranza resti alla salute, con le difficoltà che la convivenza in Cdm comporterebbe? A complicare la situazione c’è che a ogni delega corrisponde un tema potenzialmente divisivo: Draghi non sarebbe disposto, ad esempio, a rinnovare alla scadenza la leghista ‘quota 100’. Di qui il dilemma: avere ministri politici vuol dire dare più forza all’esecutivo in Parlamento, ma sui nomi l’equilibrio è difficilissimo e potrebbe volerci più tempo per la sintesi.
Figure chiave saranno i sottosegretari alla presidenza del Consiglio: c’è chi ipotizza che possano essere politici come Giorgetti e Orlando, a rappresentare i partiti, ma vengono più ‘quotati’ profili tecnici come Daniele Franco di Bankitalia, della giurista Luisa Torchia o dell’avvocato Antonio Catricalà.
Franco resta comunque il nome più quotato per l’Economia, insieme a Dario Scannapieco della Bei. Tra gli economisti si citano anche Carlo Cottarelli e Ignazio Angeloni della vigilanza Bce. Al Viminale, come ministro super partes e di garanzia, resterebbe Luciana Lamorgese. Per la sanità si cita Rocco Bellantone, presidente della facoltà di medicina della Cattolica e direttore del Gemelli. Molte, assicura chi conosce Draghi, saranno le donne. Di qui, nei rumors, i nomi di Marcella Panucci, ex Confindustria, della professoressa Lucrezia Reichlin, del direttore della Farnesina Elisabetta Belloni e di Marta Cartabia alla Giustizia.