Credo che nel 2021 , sia importante, sfruttare ogni occasione per ribadire la parità tra la mamma ed il papà. Continua a sembrarmi assurdo che l’amore, di fronte alla burocrazia, possa comunque non avere nessun valore.
Ebbene, miei cari lettori, secondo la Corte Costituzionale il cognome del padre è «il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia» e di «una tramontata potestà maritale, non più coerente con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna». Non più il cognome del padre come scelta prioritaria e obbligata. La Consulta apre alla possibilità di scegliere il cognome della madre. Dunque, una svolta storica nel diritto di famiglia. E allora facciamolo questo piccolo sgambetto alla burocrazia, che si ostina a volerci far sembrare diversi.
Attualmente la legge stabilisce che, in mancanza di accordo alternativo fra i genitori, vada ai figli solo il cognome paterno. Adesso la Corte Costituzionale, interpellata dal Tribunale di Bolzano sulla costituzionalità proprio di questa norma (articolo 262 bis del Codice civile, che sarebbe quello da rivedere), si è posta la domanda: «L’accordo dei genitori sul cognome da dare al figlio può rimediare alla disparità fra di loro se, in mancanza di accordo, prevale comunque quello del padre?».
La Consulta ne ha fatto una questione di unità familiare. Nel testo i giudici dicono che è «stato osservato sin da epoca risalente che la prevalenza attribuita al ramo paterno nella trasmissione del cognome non può ritenersi giustificata dall’esigenza di salvaguardia dell’unità familiare, perché «è proprio l’eguaglianza che garantisce quella unità» e invece la «diseguaglianza a metterla in pericolo», in quanto l’unità «si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità».
Il riferimento è a una sentenza europea del 2014 che definiva discriminatorio il sistema italiano, rigido: «fa prevalere il cognome paterno e nega rilievo ad una diversa volontà concordemente espressa dai genitori, costituisce una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, determinando altresì una discriminazione ingiustificata tra i genitori».
Una sentenza ancora più vecchia, del 2006, dice che il sistema di attribuzione del cognome paterno ai figli «è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia», e di «una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna».