Era anche l’ora, direbbe qualcuno. Ma per cosa?
Andiamo con ordine.
Vi è mai capitato di aprire un libro scolastico e trovare foto o parole stereotipate, tipo: “La mamma cucina e stira, papà lavora e legge?
Fino a poco tempo fa era normale leggere certe cose, diventava una routine, ma le abitudini non vanno bene. Mai.
Ebbene oggi si è finalmente capito: Le parole sono importanti.
La casa editrice Zingarelli, che da quasi un secolo nel suo vocabolario custodisce e aggiorna le parole della nostra lingua, ieri ha deciso di pubblicare sul suo sito il programma “Obiettivo 10 in parità: 10 linee guida per promuovere la parità di genere nei libri“.
Si è giunti alla consapevolezza che anche la lingua ha a che fare con la questione di genere. Anzi, sono proprio le parole che scegliamo di usare a definire il nostro modo di pensare e agire, e a plasmare quello dei nostri figli.
Ancora oggi nei libri di testo si leggono molte frasi in cui gli stereotipi di ruolo esplodono in tutta la loro evidenza e pervasività, definendo ruoli rigidi e cristallizzati da cui anche a parole facciamo fatica a emanciparci.
Non casi isolati, ma quasi una tradizione dell’editoria scolastica che vede i libri delle elementari veicolare impunemente, e in maniera martellante, immagini di mamme congelate nel modello della casalinga Anni 50 e di papà capifamiglia, dai modi vagamente autoritari, dediti al lavoro e alla gestione economica della casa. Tanto da aver spinto lo scorso ottobre alcuni deputati di compagini politiche diverse a depositare alla Camera una proposta di legge contro gli stereotipi di genere nei libri di testo, che ancora attende di essere calendarizzata.
Si parla dunque di sessismo linguistico per definire comportamenti linguistici che rivelano una visione sessista del mondo e della società.
Secondo il vocabolario Zingarelli 2021, sessismo è la “tendenza per cui, nella vita sociale, la valutazione delle capacità intrinseche delle persone viene fatta in base al sesso, discriminando specialmente (ma non esclusivamente, Nda) quello femminile rispetto a quello maschile”.
Una lingua non può solitamente essere definita sessista di per sé: essa, di norma, contiene tutti gli “attrezzi linguistici” di cui i suoi parlanti hanno bisogno, comprese le parole dispregiative o genericamente connotate in maniera negativa; tutto sta nell’usare gli strumenti che la lingua ci fornisce in maniera consapevole.
Non avrebbe senso “togliere dal vocabolario” determinate espressioni perché discriminanti, dato che i dizionari dell’uso puntano a descrivere nella maniera più precisa e completa possibile la lingua a cui sono dedicati (e quindi è giusto che contengano anche le “parole brutte”); tuttavia, si può e si deve fare attenzione al modo in cui le parole sono descritte, anche dal vocabolario, così da tenere conto delle mutate sensibilità della società che usa quella lingua. In breve, è sbagliato dire che l’italiano è sessista, ma è possibile che se ne faccia un uso sessista: la responsabilità nella scelta di parole ed espressioni ricade, dunque, sui parlanti (e scriventi).
Quindi grazie alla scelta di modificare certe espressioni riportate anche sui libri scolastici, la speranza è quella di allontanare certi modi di dire dal vocabolario comune e far si che certe parole non vengano più pronunciate, o almeno non creino danno o fastidio a chi le ascolta.