Officina delle idee

Alessandra Amoroso: “La solitudine ad un certo punto mi ha schiacciata”

Sono stata chiusa in casa per due mesi a Roma da sola. All’inizio pensavo: dai, non è male questo lockdown. Posso vedere le serie tv, leggere, fare meditazione, le pulizie, ascoltare la musica. Posso finalmente stare da sola. Dopo un po’ però le serie le avevo viste, i libri non riuscivo ad aprirli, la meditazione e le pulizie mi stancavano, e non mi andava più di ascoltare neanche la musica.

“La solitudine mi aveva schiacciata” ribadisce a VanityFair. In quei momenti terribili, in cui mi assaliva anche la paura del buio, come da bambina, ad aiutarmi da lontano c’erano le mie due famiglie. La prima, quella naturale. E la seconda, quella formata dai miei collaboratori. Questa seconda famiglia che mi chiamava, che io chiamavo, per trovare un conforto. Questa famiglia che in parte è rimasta senza lavoro, con i live bloccati dalla pandemia. Sì, è davvero una famiglia, non è un modo di dire. Il fatto è che io non riesco a lavorare con persone che non mi siano care, i miei collaboratori sono amici storici o lo sono diventati, e mi sono ritrovata a piangere per questi familiari acquisiti piombati all’improvviso in serie difficoltà economiche.

Raccolgo i pensieri e i ricordi. Li vedo prima tutti insieme. Alle tavolate chiassose di sessanta persone mentre siamo in giro per l’Italia a suonare, in questi viaggi di lavoro che per me hanno sempre significato scoprire pezzi del nostro Paese. All’ultima data di ogni tour organizzano uno scherzo tutto per me, è un modo per segnare la fine dei live con un ricordo allegro. A Padova, nel 2012, tutta quella farina lanciata addosso mentre cantavo. Quella volta che sono saliti tutti sul palco a fare le coriste. I mini video in cui cantavano la mia canzone Forza e coraggio.

In questa famiglia itinerante c’è persino una mamma: Fenia Galtieri, l’assistente di produzione. La chiamo «mamma Fenia», perché mi rassicura. C’è anche un nonno: Gianmario Lussana, il fonico di sala, ma non so perché lo chiamo «nonno», non è neanche anziano. Francesco Riversi, il mio backliner da undici anni. Un giorno mi ha confessato che quando mi ha conosciuta gli stavo antipatica, in tv gli facevo quell’effetto. Giovanni Chinnici, direttore di produzione, per me è «sangu mio», perché il suo dialetto siciliano somiglia al mio, salentino. Veronica Corno, il direttore della comunicazione di Friends and Partners, amica vera. La videomaker Serena De Simone, la migliore amica di mia sorella MariannaGloria Lanzani, che oggi è la mia social media manager, era una mia fan. L’ho incontrata subito dopo la finale di Amici perché aveva organizzato una visione con un mega schermo in piazza Sant’Oronzo a Lecce, non ci siamo mai più lasciate.

Ce ne sono molti altri, non posso purtroppo nominarli tutti. Ma di Giacomo Sabatino devo parlare. Giacomo è sempre stato il mio migliore amico ed è diventato il mio manager quando mi è esploso il successo tra le mani. Dopo la vittoria di Amici, con la gente sotto casa, le richieste, i fan, la tv, non sapevo che fare. Facevo la commessa, quello dello spettacolo era un mondo tutto nuovo e spaventoso. Giacomo lo avevo conosciuto a 17 anni all’oratorio, faceva l’animatore del centro estivo. Era l’amico più caro, cercava lavoro. Così mi è venuto naturale chiedergli di diventare il mio manager. Siamo una cosa sola ormai da dodici anni. Non esagero se dico che senza di lui e il suo carattere paziente e riflessivo non avrei combinato molto. Da ragazzini sognavamo insieme il nostro futuro: io mi immaginavo cantante in un bar e lui scrittore, entrambi a Parigi, sempre insieme. Non è andata esattamente così, ma insieme ci siamo rimasti.

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