Officina delle idee

Alessandro Piperno: “Il coraggio del convalescente”

Esiste spettacolo più bizzarro e avvincente di quello offerto dall’imbecillità?  Di fatto, erano anni che non mi informavo con tale voluttuosa ingordigia, che non attendevo con la stessa impazienza ciò che, da un giorno all’altro, columnist, scrittori laureati, irsuti filosofi avevano da dire sulla vita, sul destino, sull’umanità. Quale inestimabile contributo all’enciclopedia dell’idiozia universale! Peccato che, alla lunga, il junk food provochi nausea e danneggi la salute, questa la riflessione che Alessandro Piperno ha rilasciato su VanityFair.

Ma come resistere alla ribalta festosa di millantatori, imbonitori, impostori, delatori, demagoghi, ciarlatani di ogni risma e fazione? Come non lasciarsi travolgere dalla spocchia, le metafore, la sguaiata saccenteria? Come non pendere dalle labbra di chi auspica librerie aperte fino a notte fonda, stadi chiusi per sempre, spiagge finalmente deserte, fiumi limpidi, pescosi, cuori oltre l’ostacolo, euforie postbelliche, piani Marshall?

Il guaio è che questa mega-elucubrazione sui massimi sistemi morali, sanitari, economici, ecologici, la sarabanda di auspici e divinazioni («saremo migliori», «saremo peggiori», «saremo gli stessi»), ben lungi dal fornire indicazioni di una qualche utilità igienica, ha inverato un pregiudizio che riguarda un altro tipo di igiene: quella grammaticale.

Chi abusa della prima persona plurale tendenzialmente è un imbecille. A meno di non essere Montaigne o George Eliot, o di non voler adottare l’asettico linguaggio accademico, chi scrive «noi» su un giornale o da qualsiasi altra parte – e lo scrive con enfasi, commozione, e scrivendolo crede di parlare a nome dell’umanità («siamo fatti così», «siamo fatti colà») – è un matto, un impostore o un vanaglorioso privo di senso della misura e del ridicolo.

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Non è mai onesto gettare fango sugli altri senza sparlare anche un po’ di se stessi. Sarebbe un atto di ulteriore insipienza tacere il piccolo contributo da me fornito alla dilagante stupidità.

Ebbene, questi mesi di reclusione e ipocondria hanno esacerbato alcuni miei vizi caratteriali, a cominciare dal più fastidioso: la compulsione ossessiva. Per settimane sono stato tormentato dal timore di perdere anche una sola cifra spiattellata durante le conferenze stampa della Protezione civile. Tale lugubre consuetudine mi ha ricordato un deplorevole quadretto proustiano. Nel pieno della Grande Guerra, le strade di Parigi deserte, i cieli punteggiati da zeppelin tedeschi: ogni mattina Madame Verdurin inzuppando il croissant nel café au lait compulsa sul giornale la lista dei giovani caduti di Francia. Tutto mi sarei aspettato tranne ridurmi un giorno come la più spregevole eroina della Recherche.

Per non parlare della vita onirica: mai così gretta, egocentrica, didascalica. Una notte ho sognato di aver scoperto il vaccino e per chissà quale calcolo improvvido averlo venduto per un milione di euro ai cinesi facendo incazzare sia Trump sia mia madre: lui furioso per il tradimento del patto atlantico, lei perché ancora una volta non ero stato capace di farmi pagare abbastanza.

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