Secondo una classifica stilata da “Transport and Environment” e “Carbon Market Watch” l’Italia si ritroverebbe al penultimo posto in Europa in politiche ambientali. Mentre nelle “zone alte” della classifica ci sono Svezia, che si aggiudica il primo posto, e la coppia di inseguitrici formata da Germania e Francia: il loro cammino ambientale è in linea con gli obiettivi fissati dall’accordo sul clima di Parigi del dicembre 2015: mantenere l’aumento di temperatura del pianeta in un range compreso tra 1,5 e 2 gradi. Sotto di noi c’è la Polonia il quale insiste con l’uso del carbone, il più inquinante dei combustibili fossili. Queste sono le parole della rappresentate italiana di Transport and Environment, Veronica Aneris: “Le posizioni del governo italiano espresso a Bruxelles non rispecchiano le affermazioni del ministro dell’ambiente che, in occasione della presentazione del rapporto del dialogo nazionale dell’Italia, per la finanza sostenibile, aveva dichiarato che la quarta rivoluzione industriale deve essere verde. Stiamo parlando di un pacchetto di misure che va sotto il nome di Esr, Effort Sharing Regulation. Vale il 60% del totale delle emissioni inquinanti e comprende edifici, agricoltura, rifiuti e piccole industrie. Su questi settori l’impegno europei è troppo basso: prevede una riduzione del 20% al 2020 e del 30% nel 2030 rispetto al 2005. L’obiettivo 2020 è stato già raggiunto da 23 paesi su 28″.
Nonostante oggi il nostro paese si trovi quasi all’ultimo gradino della classifica stilata da “Transport and Environment” e “Carbon Market Watch”, più di dieci anni fa l’Italia aveva registrato un trend di diminuzione delle emissioni totali importante, caratterizzato da una velocità di riduzione superiore alla media Europea, e anche la quota di energia elettrica da fonti rinnovabili aveva toccato valori da primato. Ma poi però il governo ha scelto di difendere le trivellazioni e i combustibili fossili, i tagli retroattivi sugli incentivi alle rinnovabili hanno causato le proteste del mondo della finanza con ripercussioni a tutto campo sulla reputazione del Paese. Ecco quindi spiegato perché oggi ci ritroviamo dietro a Spagna, Croazia, Repubblica Ceca, Romania e Lituania.