Antonio Petito nasce il 22 giugno 1822 in una famiglia di affermati attori, dal padre Salvatore, noto comico, e dalla proprietaria, impresaria e attrice del teatro napoletano Silfide, Giuseppa D’Errico. Il teatro, conosciuto come “teatro di nonna Peppa” era frequentato soprattutto dal vivace proletariato cittadino e sorgeva in una popolare strada di Napoli, Via Carmine.
Esordì all’età di nove anni nell’opera Giovanni della Vigna, commedia di Filippo Cammarano, e continuò per molti anni ad esibirsi al seguito della famiglia che lavorava per un impresario dei teatri San Carlino e San Ferdinando.
Il vero debutto avvenne nel 1840, quando entrò nella Compagnia di Pietro Martini e, un anno, fu per la prima volta Pulcinella.
Furono per Petito, nonostante un discreto successo, anni un po’ difficili, specie per contrasti familiari dovuti al suo desiderio di smarcarsi definitivamente da quel contesto teatrale.
D’altro canto il disagio derivava dalle condizioni stesse degli attori nella prima metà dell’Ottocento; le grandi Compagnie stabili dell’età napoleonica erano al tramonto, non esisteva un repertorio nazionale di riferimento, anche perché ostacolato dalle censure.
Dopo aver recitato in altri teatri, anche della provincia, Petito si cimentò, con successo, in ruoli drammatici, fu “Jago” nell’ “Otello” del teatro materno.
Dopo la crisi dei teatri napoletani in seguito agli avvenimenti quarantotteschi, fu ancora Pulcinella al Teatro delle Fosse del grano, poi, nel 1850, debutta al Partenope con la farsa: “Avviso ai mariti”. Nello stesso anno, sollecitata dall’impresario Luzi, la Compagnia Petito tornò al San Carlino dove recitò, tra le altre, “Miseria e nobiltà” di Eduardo Scarpetta.
Seguirono le rappresentazioni de “Il medico per forza” di Molière, “S’è spento il lume” di Salvatore Cammarano, in cui Petito veste ancora la maschera. Un anno dopo con “L’innocenza in trionfo di Cerlone”, Petito abbandona la maschera ed evolve in “Pascariello”, contribuendo, in questi anni, all’imborghesimento della maschera e compiendo il processo che la porta ad essere simbolo regionale.
Gli eventi personali e artistici di Petito, da questi anni in poi, seguono gli sviluppi della città e del tempo. Nelle opere di Petito si raccontano storia e cronache di quel tempo.
Petito è ormai conteso da vari teatri e in tutti sarà celebrato Pulcinella. Il debutto come autore avviene con la commedia “Pulicenella finto dottore e pezz’a l’uocchie” del 1851.
Ignorante ma acuto, autore ma non letterato, genio o meglio “pazzo”, com’era definito, Petito è tutto questo. Ha una potente carica espressiva e lampi lungimiranti, il suo recitare in dialetto poco ha a che fare con quello del tempo, è lingua autonoma, incisiva e dura, che trova terreno ideale nella parodia e, dunque, nell’immediatezza della scena che sa coinvolgere anche sottoproletariato e piccola borghesia oltre all’aristocrazia in decadenza. Petito si divide tra il San Carlo e il San Carlino portandosi dietro le scene per avere riscontro di un’operazione di mediazione culturale unica nel suo genere tra le classi sociali.
Con Petito irrompe nel teatro recitando un semplice canovaccio ma che egli porta a compimento estemporaneamente. Petito scardina schemi classici e repertori, li trasfigura, con la parola e l’azione scenica, attraverso la pantomima parodistica e l’elemento fantastico in una lingua diversa dal dialetto grammatizzato. La sua arte del movimento invade gli spazi scenici e l’attore si impone sul testo e sull’autore coinvolgendo lo spettatore in un dialogo diretto e immediato che darà luogo ad un nuovo filone di attori.
Negli anni Cinquanta la fama di Petito è all’apice, la famiglia reale borbonica si reca spesso al San Carlino solo per lui. Nel 1852 al debutto al San Carlino avvenne il noto episodio della consegna della maschera da parte del padre Salvatore a suggello della trasmissione di un’eredità artistica. Del 1853 è un’altra significativa parodia in cui Pulcinella si profonde in manifestazioni antirazziali contro lo schiavismo d’oltreoceano in “L’appassionate pe lo romanzo de lo zio Tom”. La parodia del famoso libro è la testimonianza di una partecipazione a fatti non più solo napoletani.
L’anno 1855 si rappresentò al San Carlo il “Rigoletto” di Verdi, Petito fu mandato ad assistere ed ecco puntuale la versione al San Carlino in “Na famiglia ‘ntusiasmata pe la bella musica de lo Trovatore” in cui il Petito, travestito da donna, parodiava la Medori, la quale desiderò assistere alla performance e si entusiasmò tanto da complimentarsi con lui sinceramente.
Negli anni a seguire, Petito, tra Pulcinella e Felice Sciosciammocca ricuce, con il personaggio attore, la tradizione della Commedia dell’Arte e getta le basi del Varietà novecentesco, del cinema e di quel filone di grandi attori popolari che annovera tra le sue fila Eduardo e Totò. La Compagnia fu a Roma e in Sicilia e poi ancora a Napoli, fino agli anni Sessanta in cui il San Carlino fu sospettato di essere un covo borbonico. La Compagnia si trasferì al teatro Capranica di Roma e al suo ritorno al San Carlino nel 1863 fu assalita dai liberali. Petito fu costretto a rifugiarsi in soffitta per scampare all’assalto.
Intorno al 1865 Petito continuò a scrivere, o meglio “contaminare”, e rappresentare eventi sociali e di cronaca: “Pascariello da pezzente cafone diventa ricco” e “Guard’a voi!”. La prima fu esaltata da Eduardo Scarpetta come testimonianza politica impegnata.
Sono celebri, inoltre, le parodie di opere letterarie come il Faust, La Francesca da Rimini, La Bella Elena, Otello ed opere come “So muorto e m’hanno fatto turnà a nascere” del 1868 in cui si affronta il tema del fenomeno della trasmigrazione dell’anima che, dopo la morte del corpo, si reincarna in altri organismi …
Le opere successive: “La lotteria alfabetica”, dove critica l’industrialismo piemontese, “Tre banche a ‘o treciento pe mille” e “Nu studio ‘e spiritismo pe fa turnà li muorte ‘a l’atu munno” testimoniano, sul finire degli anni Sessanta, l’adesione alle vicende storiche politiche d’Italia.
Antonio Petito fu attore prima che autore: dagli anni della repressione a quelli dell’unificazione riforma la maschera di Pulcinella, trasfigura l’essenza del personaggio, fino a portarla al caricaturale, al grottesco; insomma la parodia e la farsa.
La sera del 24 marzo 1876 Petito morì al teatro San Carlino durante la rappresentazione de “La statua vivente spaventata da Pulcinella”…