Torna la polemica sulla gestione delle autostrade. Due mesi fa, prima del crollo al tunnel Bertè sulla A26, il Consiglio dei Lavori pubblici (organo tecnico del ministero delle Infrastrutture) aveva inviato una lettera alla direzione del Mit, ad Autostrade per l’Italia, ai Vigili del Fuoco e ai Provveditorati dell’Opere pubbliche per segnalare 105 gallerie a rischio. Il report è emerso tra i file sequestrati nell’indagine sul Ponte Morandi. Ma ci sono altre novanta gallerie pericolose sparse per tutta la rete autostradale gestite da altre società.
Il report dell’organo tecnico del ministero di Piazzale di Porta Pia, che il quotidiano La Repubblica ha ripreso, evidenzia una gestione scellerata non solo a carico di Aspi ma anche di altre concessionarie. Tutti i tunnel di oltre 500 metri, ad esempio, presentato pericoli di incidenti o crolli: sono privi di impermeabilizzazione e soggetti a infiltrazioni di acqua; mancano di sistemi di sicurezza; di corsie di emergenza e vie di fuga; di videosorveglianza; di sensori di rilevamento fumi e sistemi di allarme antincendio; di luci di guida in caso di evacuazioni; di stanze a tenuta stagna; di un responsabile che effettui dei controlli. Insomma sono fuori norma rispetto alla direttiva europea 54 del 2004 sui requisiti minimi di sicurezza, secondo cui le concessionarie avrebbero dovuto conformarsi entro il mese di aprile del 2019.
Il rapporto del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici è venuto fuori dai documenti sequestrati dalla Procura di Genova sull’inchiesta per il crollo del Ponte Morandi. Il dossier ora è finito agli atti dell’indagine aperta dopo il crollo nella galleria Bertè sulla A26, avvenuto il 30 dicembre, dove per miracolo non sono state travolte auto. “Due tonnellate e mezza di cemento che avrebbero potuto fare un’altra strage come il Ponte Morandi”, sottolinea il procuratore capo Francesco Cozzi. Aspi aveva parlato della caduta di “un’ondulina e di parti dell’intonaco”. L’incidente è avvenuto il 30 dicembre, ma la lettera dell’organo tecnico del Mit, in cui si chiedeva di mettere le gallerie a norma e nel frattempo abbassare i pedaggi e far rallentare la velocità, era stata inviata il 7 novembre del 2019.
Di fatto anche nell’inchiesta per crollo colposo sulla A26 sta emergendo quanto già rilevato nell’indagine sul Ponte Morandi. La società a cui Autostrade per l’Italia affidava i controlli, ossia Spea, che non è altro che una subordinata del Gruppo Atlantia, a cui appartiene anche Aspi, “ammorbidiva” i rapporti sullo stato generale delle gallerie, quindi falsificandoli. Nel mirino finisce un sistema che si controllava da solo e che probabilmente chiudeva gli occhi per risparmiare sui costi di manutenzione.