Si è tenuta presso l’ex OPG di Napoli, la presentazione del libro “Barre” di Francesco Carlo, in arte Kento, rapper di Reggio Calabria.
L’artista ha raccontato le esperienze negli istituti di detenzione minorile dove lui stesso insegna il rap ai giovani. Strutture come Casal di Marmo, Beccaria e Paternostro dove musica e poesia rappresentano due elementi fondamentali durante il periodo della reclusione.Nelle 177 pagine del volume, Kento racconta la sua esperienza maturata in oltre dieci anni di laboratori in vari istituti penitenziari italiani, a contatto con centinaia di ragazzi detenuti, insieme ai quali ha scritto strofe, ritornelli e punchline.
Oltre a descrivere la vita e le difficoltà nelle carceri, nel testo c’è una forte riflessione sulla giustizia italiana e sul futuro incerto dei ragazzi, che stimola il lettore a meditare sulla questione proposta.
Kento, infatti, dichiara che la sua voglia di scrivere questo testo deriva proprio dalla mancanza di fonti riguardo le carceri minorili, una questione che doveva essere raccontata in qualche modo, perciò ci dice che “non è un libro per chi lavora nelle carceri, ma per tutti”, rivelandoci lo scopo reale del testo.
Dopo aver citato l’articolo 27 della Costituzione, che prevede il reinserimento e la rieducazione del detenuto, ci ha lasciati con un quesito: “Se un ragazzo non è mai stato inserito in società, come si applica tale principio?”.
All’evento hanno anche partecipato tre ospiti speciali.
Giusy Santella, giornalista di “Mar dei Sargassi”, che ha spiegato brevemente di cosa tratta il libro, sottolineando il grave problema della detenzione come scelta estrema ed invitando a riflettere il lettore:
“Ciò che accade negli istituti di detenzione riguarda tutti non solo chi se ne occupa”.
Ha partecipato all’evento, Samuele Ciambriello, garante campano dei detenuti, che ha introdotto il discorso parlando proprio della sua vita, gli inizi in alcune carceri e delle associazioni “Agorà” e “La Mansarda”, da lui stesso fondate.
Paragonando i ragazzi dell’epoca a quelli della società odierna, ha affermato che: “Oggi questi adolescenti hanno la morte nel cuore, sono adolescenti a metà”, a causa dei reati pesanti da loro commessi. Essenziale risulta la questione dello Stato, assente in questa situazione e della società malata in cui viviamo, la quale abbandona il giovane senza alcun aiuto.
Alla fine ci ha lasciati con un impegno, quello di essere: “Liberarci dalla necessità del carcere ed uomini della speranza e garantisti, perché il garantismo è rivoluzionario e di sinistra”.
Per ultima è intervenuta Serena Voluttuoso, attivista di “Rete di solidarietà popolare”, che ha esposto lo scopo dell’associazione: “Creare un ponte tra interno ed esterno” per far capire davvero cosa non funziona. Obiettivo raggiungibile con i numerosi progetti della Rete e con volontari, che possano denunciare affinché lo Stato agisca concretamente.