“Stare dalla parte dei più deboli e lavorare sull’emancipazione e sul mondo del lavoro. Essere di sinistra vuol dire avere in mente sempre questo”. Lo ha detto Antonio Bassolino durante un’intervista a Giovanni Minoli su Radio24 e mi colpisce questa sua ostinazione a stare sui temi. Mentre tutta la campagna elettorale per le primarie si orienta sui personalismi, Bassolino rimane coi piedi per terra, piantato su idee, proposte, visioni, ragionamenti.
Sarà questo, forse, il valore di appartenere ad un’altra epoca. A quando la politica era idee e responsabilità. Contenuti e personalità.
Altri candidati non fanno che parlare di vecchio e di nuovo. Ovviamente accreditando loro stessi come il nuovo. Mi chiedo: “Nuovo rispetto a che?”, visto che poi, per citare le loro esperienze di lavoro, devono riconnettersi esattamente a quel passato tanto demonizzato.
“Mi dicono che non ho fatto crescere nessuno intorno a me – ha detto Bassolino -; ma questi che sono candidati contro di me, da dove vengono? Hanno lavorato con me, accanto a me”.
Sono pezzi, cioè, di quel passato, senza però averne il calibro. Declinano un noi che non è maiestatis ma impersonale. Sanno già di non avere autonomia. Non sono l’individualità di spicco dentro un gioco di squadra. Ma il centrocampista oscuro e anonimo che diventa capitano solo per mettere pace tra i campioni. Un noi di correnti, un noi di capi a cui poi bisognerà chiedere il permesso per ogni cosa.
Bassolino, invece, corre sfidando passato, su cui non teme il giudizio, e futuro, che sa come affrontare. Non deve chiedere il permesso a nessuno. Non dovrà dire grazie. Questa, per me, nella fase attuale è la sua più grande forza. La libertà: che, poi, è la stessa che seppe guadagnarsi quando si candidò per la prima volta a sindaco, nel 1993. Indipendenza e autonomia. Si propose per quello che era: un comunista con il senso del governo che, il giorno dopo, sarebbe diventato il sindaco di tutti i cittadini. Così fu.
La sua forza fu la libertà, valore che un sindaco deve tenersi stretto. Nulla conta più dell’autonomia, quando sei chiamato ad amministrare, da sindaco, una città che per sua natura è un ordine complesso di interessi contrapposti, tra i quali si può mediare solo essendo totalmente indipendenti, quindi rispondendo solo alla propria coscienza.
“Io sono uomo delle istituzioni”, dice Bassolino. E’ stato così senza dubbio nella sua esperienza di sindaco. Lo è stato meno da Governatore. Lì si è infilato nelle maglie strette dei partiti, delle alleanze, dei veti, di quel “noi” che diventava gabbia, non risorsa.
Oggi abbiamo di fronte il primo Bassolino, con qualche anno di esperienza in più e le idee chiare sul lavoro, sulla sicurezza, sulla marginalità, sul decoro urbano, su tutto quello che fa degna una città. E poi la cultura. Qui Bassolino, per me, coglie nel segno. Non si limita a farfugliare qualche slogan su teatri e iniziative ma ricorda il tempo in cui a piazza Plebiscito avevamo la Montagna di sale di Palladino. “E adesso – dice con amarezza – abbiamo le renne luminose”.
Il dato, per me, è tutto qui: sembra marginale ma è fondamentale. Se è vero che la bellezza salverà il mondo, è vero anche che solo chi ha caratura e visione – e, aggiungo, passato – può salvare Napoli.
Sarà questo, forse, il valore di appartenere ad un’altra epoca. A quando la politica era idee e responsabilità. Contenuti e personalità.
Altri candidati non fanno che parlare di vecchio e di nuovo. Ovviamente accreditando loro stessi come il nuovo. Mi chiedo: “Nuovo rispetto a che?”, visto che poi, per citare le loro esperienze di lavoro, devono riconnettersi esattamente a quel passato tanto demonizzato.
“Mi dicono che non ho fatto crescere nessuno intorno a me – ha detto Bassolino -; ma questi che sono candidati contro di me, da dove vengono? Hanno lavorato con me, accanto a me”.
Sono pezzi, cioè, di quel passato, senza però averne il calibro. Declinano un noi che non è maiestatis ma impersonale. Sanno già di non avere autonomia. Non sono l’individualità di spicco dentro un gioco di squadra. Ma il centrocampista oscuro e anonimo che diventa capitano solo per mettere pace tra i campioni. Un noi di correnti, un noi di capi a cui poi bisognerà chiedere il permesso per ogni cosa.
Bassolino, invece, corre sfidando passato, su cui non teme il giudizio, e futuro, che sa come affrontare. Non deve chiedere il permesso a nessuno. Non dovrà dire grazie. Questa, per me, nella fase attuale è la sua più grande forza. La libertà: che, poi, è la stessa che seppe guadagnarsi quando si candidò per la prima volta a sindaco, nel 1993. Indipendenza e autonomia. Si propose per quello che era: un comunista con il senso del governo che, il giorno dopo, sarebbe diventato il sindaco di tutti i cittadini. Così fu.
La sua forza fu la libertà, valore che un sindaco deve tenersi stretto. Nulla conta più dell’autonomia, quando sei chiamato ad amministrare, da sindaco, una città che per sua natura è un ordine complesso di interessi contrapposti, tra i quali si può mediare solo essendo totalmente indipendenti, quindi rispondendo solo alla propria coscienza.
“Io sono uomo delle istituzioni”, dice Bassolino. E’ stato così senza dubbio nella sua esperienza di sindaco. Lo è stato meno da Governatore. Lì si è infilato nelle maglie strette dei partiti, delle alleanze, dei veti, di quel “noi” che diventava gabbia, non risorsa.
Oggi abbiamo di fronte il primo Bassolino, con qualche anno di esperienza in più e le idee chiare sul lavoro, sulla sicurezza, sulla marginalità, sul decoro urbano, su tutto quello che fa degna una città. E poi la cultura. Qui Bassolino, per me, coglie nel segno. Non si limita a farfugliare qualche slogan su teatri e iniziative ma ricorda il tempo in cui a piazza Plebiscito avevamo la Montagna di sale di Palladino. “E adesso – dice con amarezza – abbiamo le renne luminose”.
Il dato, per me, è tutto qui: sembra marginale ma è fondamentale. Se è vero che la bellezza salverà il mondo, è vero anche che solo chi ha caratura e visione – e, aggiungo, passato – può salvare Napoli.