Il gioco del calcio è spesso vituperato. Alcuni lo guardano dall’alto verso il basso perdendosi il senso di un’alchimia collettiva che, allorquando sorretta da una precisa strategia di gioco, diventa una sorta di regola “matematica emozionalmente orientata”.
Lo so: “detta così”, potrebbe fare addirittura sorridere. Eppure, piaccia oppure no, questo gioco esalta le virtù ma anche la pochezza di una considerevole parte del nostro (essere) popolo. Anzi, ne è quasi lo specchio. Uno specchio molto spesso triste, gretto, disarmante e vergognoso nel quale ci appare l’immagine dell’incapacità. Quella nella quale, l’applauso che si dovrebbe tributare al rivale più forte, si frantuma cedendo il passo alle più becere forme di campanilismo, diventando razzismo, odio e contrapposizione feroce, sia verbale che fisica.
Anche ieri, a Genova, nella gara contro la Sampdoria, i tifosi avversari (quelli “blucerchiati”, tanto per intenderci) hanno inneggiato al Vesuvio affinché ci “lavi (il riferimento è noi Napoletani) col fuoco (della lava)”.
Per quanto siano davvero brutte certe frasi, nulla di davvero sconvolgente, però: il clima pseudo-culturale complessivo del nostro Paese è questo. Le contrapposizioni, qualunque esse siano, dal calcio alla politica, dalla retorica di contesto al ragionamento ampiamente inteso, è quasi sempre gretto, superficiale, di basso profilo, privo di spessore culturale autentico. Senza qualità…
Guelfi contro ghibellini. Bianchi contro neri. Rossi contro neri. Sedicenti “onestesi” contro tutti gli altri.
Se cerchi di elevare il ragionamento ti considerano fuori dal mondo. Ti accusano di essere pseudo-elitario, di non capire “una mazza”. Di essere un traditore della storia e della “Patria”. Se ti pieghi alle becere ragioni “dei più”, però, allora sei proprio tu a “diventare il nulla”. Non sei più uomo. Diventi il pagliaccio di turno.
Il nostro è un Paese prevalentemente razzista, diviso, divisivo e assurdamente ripiegato su se stesso. Una realtà provincialotta travestita dal potere d’imperio di quello che dovrebbe essere lo Stato; uno Stato, peraltro, molto, ma molto lontano, nella realtà delle cose, dalle sue reali potenzialità.
Da Napoletano mi fa sempre male sentire quei cori. Mi fa sempre soffrire vedere così tanto odio. Mi disarma sempre di più constatare così tanta avversione. Per carità: noi Napoletani avremo le nostre “colpe”. Ma il resto del Paese non mi sembra (poi) così tanto migliore.
Comunque sia, mi auguro che il Vesuvio continui sempre a riposare: la “nostra politica”, sia quella locale che quella nazionale, non è mai stata davvero all’altezza di prevenire i futuri, possibili perigli connessi ai fenomeni eruttivi. Sarebbe una tragedia autentica. Dammatica. Devastante.
Ma questa è soltanto la premessa… Sono anni che propugniamo “l’utopia” del merito. Sono anni che proviamo ad immaginare un Paese capace di premiare l’altrui grandezza e le altrui qualità e capacità.
Sono anni che sogniamo… Già, i sogni. Quei “maledetti” sogni… Quelle spinte ideali travolte dal sempre più diffuso becerume di concetto e dalla sterilità delle anime. Da una sorta di socialismo reale che, nel massimizzare le coscienze, sembra schiacciarle (quasi tutte) sempre di più verso il basso. Ma colpa anche dello speudo-liberismo da salotto. Quello dei “borghesi” dal sedicente piglio professorale. Quello degli incapaci di saper comunicare, finanche con se stessi.
Il calcio sarà anche un gioco, ma è un gioco nazional-popolare. Trasmette valori. Molti altri li assorbe. E allora, forse, dovremmo essere “meno aristocratici”, meno “borghesi”, meno coglioni e prestare molta più attenzione, gestendolo meglio, perché l’amore per una maglia non può (e non dovrà mai) diventare motivo di odio verso un altro uomo, verso l’avversario. Non ha senso. E’ cosa triste “assaje”.
Nella realtà cosmica, non sarò nessuno. Giusto un “ometto” tra milioni di uomini. Giusto un Napoletano tra milioni di Napoletani. Giusto un sognatore tra milioni di sognatori. Nessuna presunzione. Nessuna arroganza. Nessuna “verità rivelata” posseduta…. Soltanto (la) voglia di contribuire, coi “miei versi”, alla bellezza dello “spettacolo” del ragionamento. Almeno quella di provarci. Immagino che non ci sia proprio nulla di male, in proposito…
Provo a scrivere il primo capitolo allora (anche se, molto probabilmente, sarà il millesimo)… Sabato prossimo si giocherà Juventus – Real Madrid. Volevo tifare Real, e non per campanilismo, ma per effetto di ammirazione calcistica nei confronti di Ronaldo, il più grande calciatore del mondo.
Beh, ho cambiato idea. Per quanto possa contare, tiferò per la Juventus. Tiferò per la squadra più forte d’Italia. E lo farò applaudendo. Lo farò con quegli stessi applausi che vorrei sentire, scroscianti, a favore degli “scugnizzi di Sarri” tutte le volte in cui, in giro per l’Italia, vanno a fare spettacolo, stravincendo.
La “natura” – ma dire “becerume di concetto” sarebbe molto più corretto – consiglierei di lasciarla perdere. Forse, a fare gli uomini, potremmo davvero riuscirci. Volendo, saremmo ancora in tempo, per dirla “alla Totò”…