“Se il calcio pensa di salvare solo gli uomini, e non anche le donne, allora non si salva”. Queste le parole di Milena Bertolini, commissario tecnico della Nazionale femminile del calcio italiano, in merito ai dubbi sulla possibile ripartenza della Serie A delle giocatrici.
Se da un lato, il campionato di calcio maschile è pronto a ricominciare, con tanto di protocollo presentato alla Federcalcio italiana da parte della Lega di Serie A femminile, dall’altro lato rimane incerto il ritorno sul terreno di gioco delle atlete, in bilico tra l’impossibilità per alcuni club di applicare i nuovi modelli igienico-sanitari e la disponibilità di contributi da parte della Figc a difesa del settore calcistico delle donne.
“Ci aspettiamo pari tutele sanitarie dei nostri colleghi uomini, che venga redatto un protocollo ad hoc perché quello dei dilettanti per noi non va bene per riprendere. Attendiamo poi anche le risorse per tornare ad allenarci e vivere da professioniste quali siamo. Le calciatrici oggi sono consapevoli di essere professioniste a tutti gli effetti e quindi si aspettano un riconoscimento ufficiale del loro status ”, ha dichiarato Sara Gama, capitano della Juventus Women e della Nazionale femminile italiana, durante il Consiglio Federale del 20 maggio. Questo perché, tra le competizioni dilettantistiche, la Serie A femminile è l’unica a non essere stata dichiarata del tutto conclusa, con 37 partite ancora da giocare, tra le 12 squadre del campionato.
Si attendono, dunque, risposte da parte del Figc, in merito alle misure da adottare in caso di ripresa. Nel frattempo, però, non mancano le polemiche, in particolar modo da parte di Luisa Rizzitelli, presidente di Studio Assist e Partners (azienda di servizi professionali avanzati, dedicata al calciatore professionista, alla società sportiva e al mondo delle imprese), che asserisce: “Trovo semplicemente assurdo pensare che i club femminili possano rispondere ai pesanti obblighi definiti nel protocollo per la ripresa delle attività nel calcio. La gran parte delle società sportive del calcio femminile ha una situazione economica e organizzativa decisamente diversa rispetto alle poche 4-5 squadre fortunate che sono figlie di grandi club maschili italiani. Si parla di parità, ma per farlo bisogna partire dalle basi. Iniziamo a configurare l’attività delle atlete come un lavoro a tutti gli effetti, in tante si sono ritrovate senza lavoro, senza diritto alla malattia o alla cassa integrazione. E’ impensabile attuare le pari condizioni in maniera parziale, facendo gli interessi soltanto dei grandi club che possono garantire alle proprie calciatrici, ad esempio, l’uso esclusivo di strutture o uno screening medico continuo”.
Ancora lunga, quindi, la strada per ottenere una parità calcistica di genere, nonostante il successo riconosciuto, a livello globale, con i Mondiali di calcio femminile del 2019 (disputati in Francia). Ennesima prova di come le giocatrici vengano inghiottite dagli stereotipi di una società accecata dall’idea che il pallone sia tuttora un “affare da maschi”.
A cura di Maria Pia Russo