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Cappone, abbacchio, capitone: riti, storia e ricette della triade golosa del Natale italiano

Nove italiani su dieci trascorrono la vigilia e il pranzo di Natale a casa con parenti e amici, con oltre la meta’ delle famiglie che non spendera’ piu’ di 75 euro anche grazie il ritorno quest’anno dei piatti piu’ tipici della tradizione italiana. Da Nord a Sud, la cucina di tradizione italiana regala emozione. Non solo a Natale, ovviamente, ma è durante le festività che esprime il meglio in piatti speciali. Ricette che rappresentano profondamente l’identità culturale del luogo d’origine, hanno una storia importante e sono particolarmente «nutrienti». È il caso di tre cibi che non possono mancare sulle tavole nataliziealmeno se la padrona di casa intende seguire le immortali regole. Parliamo del cappone, dell’abbacchio e del capitone: semplificando sono il Nord, il Centro e il Sud della bussola del gusto, con le loro rispettive capitali Milano, Roma e Napoli.

Il cappone: citato anche da Manzoni
Partiamo dal cappone, animale da cortile diffuso nell’Italia Settentionale e parte di quella Centrale: la tradizione del cappone sulla tavola del Natale risale al Medioevo, quando il brodo di cappone veniva consumato nel corso delle Festività natalizie, legate anche ai festeggiamenti rituali del Solstizio d’Inverno. A Milano, in particolare, l’allevare «quater capun» (quattro capponi) in vista del Natale rappresentava una tradizione radicata, testimoniata perfino nelle pagine dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

In tutto dovevano essere quattro: uno per Sant’Ambrogio, uno per Natale, uno per Capodanno e uno per l’EpifaniaLa ricetta classica del cappone ripieno, prevede l’utilizzo di carne macinata di vitello, o salsiccia, pane raffermo e latte, creando così un impasto che viene aromatizzato con pepe, noce moscata, rosmarino, aglio, salvia e prezzemolo, e poi inserito nel cappone per la farcitura. Una volta imbottito, il cappone viene richiuso utilizzando ago e filo. Per buon auspicio, la tradizione vuole anche che il cappone sia servito in tavola guarnito da chicchi di melograno, uno dei più antichi simboli auguranti fertilità e benessere.

L’abbacchio risale a Roma Antica
A Roma, abbacchio è un sinonimo culinario di Natale (ma è preparato anche in occasione della Pasqua). Questo termine – che deriva dal latino baculum, ovvero il “bastone” a cui venivano legati i piccoli della pecora – indica l’agnello macellato ancora giovane, e un tipo di carne particolarmente tenera e saporita. La versione più elaborata, invece, prevede la cottura dei pezzi di cosciotto infarinati e rosolati in tegame, cui si aggiunge salvia e aglio tritati e poi vino mescolato con aceto. In seguito, la carne viene coperta d’acqua bollente e cotta in forno. Per preparare l’abbacchio alla «scottadito», servito con le patate, si grigliano le costolette di agnello, ungendole con strutto e condendole con sale e pepe. Esiste poi una versione fritta delle costolette d’abbacchio, che vengono prima panate nel pan grattato e nell’uovo, per poi essere, appunto, fritte nell’olio.

Il rito magico del capitone
Nella cena di Vigilia a Napoli – e in molte zone del Meridione – il protagonista  è il capitone (dal latino caput, testa) ovvero la femmina dell’anguilla, rappresentata dal numero 32 nella famosa “Smorfia napoletana”: è caratterizzato da dimensioni della testa e del corpo superiori a quelle dell’anguilla maschio, ed è possibile trovarlo sia in acque dolci sia salate, dal momento che è solito risalire i fiumi. L’origine di questo piatto ha origine in tempi antichi. Mangiare il capitone – il cui aspetto ricorda da vicino quello del serpente, simbolo del Male – coincide in un atto simbolico di buon auspicio che associa alla nascita di Cristo l’eliminazione dal Male. Secondo la tradizione, il capitone va acquistato vivo il 23 dicembre, periodo in cui le pescherie della città offrono lo spettacolo di questi pesci che sguazzano esposti in grandi vasche azzurre. Per poi essere cucinato il giorno seguente, mantenendo fino all’ultimo la sua freschezza.

Nella tradizione culinaria partenopea, il capitone si mangia essenzialmente fritto. In questo caso, dopo aver eviscerato e pulito il pesce, lo si taglia a tocchetti, che vanno poi passati nella farina di semola. Si procede poi alla frittura, finché non assumono un bel colore dorato. In caso avanzasse, poi, è possibile trasformarlo in «capitone alla scapece». Si tratta di un sistema utilizzato dalla cucina napoletana per conservare il pesce, ma anche le verdure, dopo la frittura. Il piatto si realizza marinando il capitone in olio extravergine, aceto, aglio e menta. Buonissimo.

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