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Careca: “Sarri? E’ l’allenatore giusto per riportare lo scudetto a Napoli, ha qualità per farlo? Ma la domanda da fare a De Laurentis è: “lui ha voglia di vincere il tricolore?”.

Pompei:  E’ un Antonio Careca show al bar “Hcca24” di viale Mazzini. Il campione brasiliano è stato scelto da una giovane realtà calcistica del Vesuviano come testimonial e operatore di una nuova metodologia di allenamento da proporre ai ragazzi delle scuole calcio.

“L’idea – spiega Cirillo – parte da una riflessione: siccome per professione curiamo il perfezionamento della tecnica dei giovani calciatori da preparare per categorie importanti, per il mondo del professionismo. Negli ultimi anni si sta sviluppando molto la tecnica e la tattica ma ci siamo un po’ dimenticati di alcuni aspetti della parte atletica. Con noi c’è Alfonso Pinto, 14 volte campione italiano di pugilato, il dottor Marco Caserta che si occupa della parte scientifica, dello studio dei plantari e dell’ortopedia. Insieme al Prof. Barba, abbiamo sintetizzato le capacità atletiche che si sviluppano con la boxe e gli studi scientifici, e abbiamo capito perché Antonio Careca è diventato un campione mondiale. A 10 anni lui, giocando sulla spiaggia, per strada ecc. ecc. ha sviluppato capacità motorie diverse rispetto a quelle di oggi. Lui era impegnato in almeno 5 o 6 ore di gioco al giorno, mi ha raccontato che il suo primo campetto da calcio era fatto a gobba e addirittura non vedeva dove era la porta avversaria e dunque per vederla doveva superare la metà campo. Abbiamo approfittato della presenza di un campione completo ed universale, senza tempo, forte di testa, destro e sinistro, per divulgare questo metodo di allenamento che si basa su atletica e coordinazione. Il nostro slogan è: prima di giocare a calcio bisogna essere atleti. La tecnica è fondamentale, ma non dobbiamo dimenticare l’alimentazione, la posturologia, l’igiene del sonno. Sport prima, con tutti i suoi criteri e postulati, calcio poi. Antonio Careca prima di essere un fuoriclasse del calcio, sa giocare a tennis, a nascondino, volley, sa orientarsi sempre”.

I saluti e i ringraziamenti di Careca: “Ringrazio tutti per l’invito e sono felice di far parte di questo progetto. La prima cosa che un allenatore deve fare per un ragazzino, è trasmettergli fiducia. In Brasile per ogni bambino che nasce, gli viene regalato un pallone con la speranza che possa diventare un campione, ma poi l’unica cosa che conta è dargli la possibilità di orientarsi nella vita a prescindere dal calcio. Io a tennis gioco con la destra, a Basket con la sinistra, ora mi diverto con il gol e sono mancino. Ai ragazzi bisogna insegnare a credere di poter migliorare. Ho fatto anche boxe anni fa, mi ha insegnato a tenere i piedi a terra nel modo giusto, per essere più reattivo. Andavo a nozze con i difensori che poggiavano male i talloni ad esempio, li beffavo sul tempo. E’ dunque importante curare tutti i dettagli anche perché le società oggi investono molto e non si può sbagliare. Ovviamente anche i genitori hanno un ruolo importante, non devono caricare i loro figli di eccessive responsabilità. Lo sport deve aiutare a crescere per essere pronti ad affrontare la vita, non tutti diventano campioni. Ma si può migliorare a qualsiasi età. Ricordo un grande calciatore brasiliano, Dadá Maravilha, strappò il suo primo contratto da professionista a 28 anni e vinse il mondiale nel 1970. Ha segnato oltre 400-500 gol”.

Poi Careca racconta un aneddoto: “Nel calcio è fondamentale capire tutto prima possibile e per gli stranieri che approdano in un altro paese la lingua è determinante per inserirsi negli schemi, interagire con i compagni. Quando arrivai a Napoli avevo un interprete, ma era un esperto di opera lirica, di calcio non capiva proprio nulla e litigava con l’allenatore Ottavio Bianchi: lui mi chiedeva di giocare più a destra visto che al centro c’era Giordano e quando la palla ce l’aveva Maradona dovevo tagliare in area per stare più vicino alla porta. Il mister chiedeva all’interprete perché non facevo quel movimento e gli rimproverava di non avermelo spiegato bene. All’inizio ero come Callejon, infatti indossavo la maglia numero 7”.

“La VieSse sport di Vincenzo Raiola e del sottoscritto – incalza Stefano Cirillo – è sinonimo di talenti, ma questo non vuol dire diventare fabbrica di illusioni. Facciamo in modo di fare calcio quanto ai massimi livelli con un’attività sana e studiata, ma l’aspetto principale è il rendimento scolastico. Progetto Gym non vuole dire sfornare campioni, ma aiutare a crescere nel modo giusto. Come ha detto Careca, non tutti ovviamente diventano campioni: per ogni annata c’è un potenziale campione su 22 mila. Nel calcio, a differenza di altri sport, c’è quell’automatica pretesa di giocare per arrivare in Serie A. Il nostro  è un “percorso di mille colori” perché attraverso lo sport insegniamo ad entrare in società. Non diremo mai che la VieSse sport fa calcio per far diventare i bambini calciatori di Serie A”.

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