ultimissime

Caso Vannini si riparte, Federico Ciontoli: «Papà mi parlò di uno scherzo»

Via al nuovo processo per l’omicidio di Marco Vannini, 22 anni, morto nel maggio del 2015. Un colpo di pistola mentre era casa della fidanzata Martina Ciontoli, a Ladispoli. Il procedimento riguarderà tutta la famiglia del principale imputato, Antonio Ciontoli.

A causa dell’emergenza coronavirus, la prima nuova udienza si è svolta a porte chiuse. «Mio padre diceva che Marco si era spaventato per uno scherzo, e io gli credetti perché non c’era nessuna ragione per non farlo», ha detto raccontato Federico Ciontoli. «Non c’era niente che mi spinse a non credere in quello che mio padre chiamò “colpo d’aria”, del cui significato non mi interessai più di tanto essendo stato solo uno scherzo», aggiunge il figlio del principale imputato del processo.

Dopo il colpo di pistola, trascorsero 110 minuti fino all’arrivo del primo soccorso, come racconta Marina Conte, mamma di Marco Vannini, nel libro  Mio figlio Marco, che uscirà il 7 luglio per Armando Editore. Suo figlio se fosse stato soccorso subito, come è stato ribadito, si sarebbe potuto salvare.

«È stato fino ad oggi ripetutamente detto, solo sulla base di supposizioni, e questo è presente addirittura in alcuni atti processuali, che anche a costo di far morire Marco io avrei nascosto quello che era successo. La verità è che io ho chiamato i soccorsi pensando che si trattasse di uno spavento, figuriamoci se non l’avrei fatto sapendo che era partito un proiettile», afferma Ciontoli.  «Se avessi voluto nascondere qualcosa, perché avrei chiamato subito l’ambulanza di mia spontanea volontà dicendo che Marco non respirava e perché avrei detto a mia madre che non mi credevano e di fare venire i soccorsi immediatamente? Vi prego: non cadete in simili suggestioni che sono totalmente contraddette dalla realtà».

Poi il racconto della paura nella vita quotidiana. «Per tre interminabili anni sono uscito ogni giorno da casa per andare a lavorare e ho camminato perseguitato dall’immagine di qualcuno che potesse venire e spararmi alla testa spinto da quello che si diceva su di me in televisione». E ancora: «Sono qui non per paura di essere condannato, ma perché la verità è quello che ho sempre raccontato. Per anni sono sceso per strada con la certezza che qualche giornalista mi sbarrasse la strada, mi pedinasse o bloccasse la portiera dell’auto per non farmi partire e forzatamente cercasse di estorcere un’intervista, come ormai avveniva abitualmente».

Dure le parole di Marina Conte. «Dichiarazione vergognosa, nemmeno una parola per Marco. Ancora non riescono a capire che è morto un ragazzo di 20 anni. Continuano a girare il coltello nella ferita».

Potrebbe piacerti...