Guadagnano quattro volte in più dei colleghi della House of Commons, ma guai a parlare di tetti alle loro buste paga. Sono i dipendenti della Camera dei Deputati e del Senato, sul piede di guerra dopo la presentazione del piano di riduzione degli stipendi ideato dai presidenti Laura Boldrini e Pietro Grasso e comunicato alle sigle sindacali dalle responsabili per la gestione del personale di Palazzo Madama e Montecitorio, Valeria Fedeli e Marina Sereni. Secondo il nuovo piano, che ha trovato il favore di tutte le forze politiche con eccezione del Movimento Cinque Stelle, il tetto massimo retributivo sarà di 240mila euro e il taglio interesserebbe il 40% dei dipendenti, tra i quali spiccano gli stipendi del segretario generale della Camera Ugo Zampetti, che percepisce una retribuzione complessiva di 478.149 euro al lordo degli oneri previdenziali ma al netto dell’indennità di funzione, e della collega del Senato, Elisabetta Serafin. I tagli entreranno a regime non prima del 2018 e in maniera progressiva, per un 25% l’anno dell’importo. Inoltre, come spiega Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, il tetto massimo è al netto degli oneri previdenziali e soprattutto dell’indennità di funzione che per lasciare costante la distanza economica tra le varie categorie di dipendenti sarà alzata fino a un massimo del 25% dello stipendio. “In soldoni: se oggi l’indennità di funzione per il segretario generale si aggira intorno agli 8 mila euro netti l’anno – calcola Rizzo – domani potrà salire a 60 mila euro lordi. Con il risultato che la sua retribuzione complessiva, una volta a regime, passerà dai circa 500 mila euro attuali ad almeno 350 mila: 240 mila di stipendio, 60 mila di indennità più circa 50 mila di oneri previdenziali”.
“In un periodo di tagli per tutti, una scelta giusta. Eppure 23 sigle sindacali hanno annunciato che daranno battaglia perché ritengono la proposta irricevibile. Sul fronte politico, invece, gli unici in ufficio di presidenza, a non votare a favore sono stati i M5S. Di Maio, peraltro, riguardo alle proteste dei dipendenti, a fine luglio, aveva dichiarato: “Comprensibile, questo accade quando si taglia ai dipendenti prima che alla politica”. Nel frattempo, però, noi senatori abbiamo dato il buon esempio “tagliando” noi stessi. Forse anche i dipendenti di Camera e Senato, adesso, possono fare la loro parte. E sarebbe bello che, per una volta, anche i grillini, la smettessero di fare i “bastian contrari”: così facendo difendono quei privilegi che, sulla carta, avevano annunciato di voler tagliare” – è il commento del senatore del PD Francesco Russo.
Se è vero infatti che il buon esempio dovrebbe partire dalla politica, non si può non notare come i dipendenti delle due Camere godano di privilegi maturati nel tempo non del tutto giustificati dalla loro indubbia ed elevata professionalità. Troppo spesso quando si parla di costi della politica, l’opinione pubblica e il dibattito mediatico puntano il dito contro il finanziamento pubblico ai partiti e l’onorevole di turno accusato di scaldare la poltrona, guadagnare troppo e “arrotondare” lo stipendio grazie a una serie di favori accessori o addirittura con comportamenti alla Fiorito. Ma dimentica i costi della “scenografia” contribuendo ad alimentare uno scontro muscolare e inconcludente tra caste che non vogliono recedere di un solo passo dallo status acquisito.