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CELIBATO OBBLIGATORIO.IL MARITO,IL PADRE E IL PRETE CHE VIVE IN ME.LA TESTIMONIANZA DI GIUSEPPE MOROTTI.

 Mi decido finalmente ad assecondare un mio caro ex confratello che da tempo mi chiede come mai noi preti sposati, ridotti allo stato laicale, benché numerosi, non condividiamo mai niente di ciò che viviamo. Penso anche che, nella misura in cui la saprò trasmettere con semplicità e senza spirito polemico, questa mia condivisione possa essere di aiuto a quella Chiesa che continuo ad amare.
Sono oramai più di dieci anni che ho interrotto la vita religiosa e presbiterale e mi sono sposato con Angela, verso cui nutro un affetto profondo e con la quale condivido la gioia e la responsabilità di crescere insieme ai nostri due figlioletti, Mauro e Carlo.
Non è stata una scelta facile, tutt’altro. Anche per il fatto che è avvenuta nel momento in cui ero Priore della Congregazione dei Piccoli Fratelli del Vangelo che si ispirano a Charles De Foucauld: soprattutto in un primo momento, ha comprensibilmente creato sconcerto, incomprensioni, rotture, senso di tradimento e sofferenza in molti di coloro che mi conoscevano. Ed anche in me stesso: mi sentivo sempre più solo, facile bersaglio dei giudizi degli altri, ma anche dei miei dubbi e dei miei sensi di colpa. Alla base del disorientamento che attraversavo vi era il fatto di non poter più svolgere il “lavoro” di religioso-prete, l’unico a cui mi ero veramente preparato, che riuscivo a svolgere bene e che avrei continuato a fare con entusiasmo. Mi trovavo invece ad arrabattarmi con delle occupazioni improvvisate in un quartiere popolare di Marsiglia. Il fatto inoltre di “metter su casa e famiglia” iniziando praticamente da zero, con la prospettiva di non avere domani neanche una pensione per il fatto di non aver avuto nel passato contributi versati, immetteva in me insicurezza ed angoscia. Confesso che durante i primi mesi, in cui non avevo ancora un lavoro, per risparmiare, mi sono recato regolarmente in piazza, a fine mercato, per recuperare la frutta e la verdura che veniva scartata.
Stabilitici a Bolzano, dato che almeno Angela poteva contare su delle supplenze come insegnante precaria, non fu facile il nostro inserimento nella comunità ecclesiale. Il fatto di essere un “ex prete” faceva sì che venissi visto con diffidenza e sospetto, i preti giovani in modo particolare manifestavano non poca freddezza nei miei confronti. Lo psicologo gesuita che mi aveva sapientemente accompagnato mi aveva anticipato il motivo per cui probabilmente le maggiori chiusure le avrei trovate negli ex confratelli e nei preti. Se io avessi perso anche la fede, tutto sarebbe stato chiaro per loro. Ma il fatto che avessi preso moglie rimanendo quello che ero, avrebbe potuto provocare tra i più insicuri di essi una crisi identitaria che li avrebbe indotti ad attitudini di difesa e di rifiuto più o meno consapevoli.
Ebbi comunque la fortuna di essere assunto nel Centro di Accoglienza delle persone senza fissa dimora della Caritas. Questo lavoro a servizio degli ultimi mi gratificava, facendomi sentire profondamente in sintonia con la mia vita antecedente. Trascorsi i primi 5 anni immerso nel lavoro e nella vita familiare senza svolgere il minimo servizio a livello religioso e spirituale. Arrivò poi il giorno in cui il nostro nuovo parroco, che si rivelò per noi un vero fratello, mi invitò ad animare degli incontri di preghiera che ebbero un discreto successo. Da allora iniziai ad essere sempre più spesso invitato a tenere qua e là delle meditazioni, dei ritiri… «In mancanza di cavalli – solevo dire scherzosamente – si fanno correre gli asini». La pubblicazione di un libro sul dialogo tra cristianesimo ed islamismo che si avvaleva dell’esperienza dei dieci anni che ho vissuto in Iran, condividendo la vita di alcune comunità cristiane minoritarie, mi ha aperto ulteriormente la strada. Ho dovuto ridurre il mio lavoro alla Caritas ed infine abbandonarlo per poter rispondere meglio sia alle esigenze della mia famiglia che alle collaborazioni che mi venivano e mi vengono richieste con sempre più frequenza in ambito parrocchiale e diocesano. È vero che nonostante la penuria di sacerdoti e l’appoggio di vari presbiteri che mi conoscono meglio non si è ancora trovato il coraggio di affidarmi un incarico ufficiale nell’ambito pastorale, ma il fatto che venga considerato come una buona ruota di scorta mi pare già importante.
Confesso di sentirmi sempre più realizzato in quello che sono, non solo come sposo e padre, ma anche come quel presbitero che nonostante la riduzione allo stato laicale è sempre rimasto vivo in me. Angela è contenta di vedermi sempre più “nella mia pelle” e fa di tutto per sostenermi. Uscito dalla porta insomma, ho la sensazione che, non solo la necessità, ma attraverso di essa anche lo Spirito mi stia ritirando dentro dalla finestra. In me ed in Angela sta perfino facendosi strada un sia pur timido sentimento di essere investiti come di una nuova, motivante missione. Quella di contribuire concretamente e discretamente a porre una pietra di quella che potrebbe essere, se Dio vorrà, la Chiesa di domani. Una Chiesa in cui accanto a presbiteri che continueranno a svolgere con gioia il loro ministero da celibi, ce ne siano altri e perché no altre, sposati, padri e madri di famiglia. Questo servirebbe non solo a far sì che venga risolto, almeno in parte, il problema ormai endemico della mancanza di vocazioni, ma anche a dare al ministero sacerdotale completezza ed equilibrio.
Ci tengo a ribadire il fatto che mi sembra importante che il celibato continui ad essere salvaguardato come un autentico valore in modo particolare per coloro che lo professano con voti religiosi e sono al contempo sostenuti da una fraterna vita comunitaria. Io stesso infatti per 30 anni l’ho vissuto come tale. Solo da celibe e quindi da libero da impegni familiari, avrei potuto per esempio corrispondere a quella entusiasmante e per certi aspetti sconvolgente esperienza che ho vissuto per 10 anni in Iran condividendo, in situazioni disagiate e rischiose, di guerra e di discriminazione, la vita di alcune comunità cristiane minoritarie.
Ho sperimentato anche come un celibato vissuto con generosità e con gioia possa favorire un autentico, profondo, gratificante senso di paternità spirituale nei confronti di molti e di molte, i quali a loro volta sentono una attrazione profonda nei confronti di una accoglienza che scaturisce da un cuore libero per Dio e nello stesso tempo aperto a tutti. Ho pure sperimentato come quella “ferita celibataria” che mi bruciava giorno e notte nella carne potesse essere uno straordinario trampolino di lancio verso un amore privilegiato nei confronti di un Dio confessato in tal modo come l’Assoluto.
D’altra parte mi rendo conto di come il mio stato attuale di sposato mi sia di aiuto per quel che riguarda un rapporto più equilibrato con le donne. Mentre prima mi era piuttosto problematico rapportarmi con loro per l’istinto di difesa che mi abitava, constato ora di riuscire a relazionarmi con più naturalezza. D’altro canto mi rendo anche conto di quanto quella attrazione indefinita ed inconfessata che il mio essere prete esercitava in particolare sulle donne nubili ma anche sposate e insoddisfatte o con accentuato istinto materno sia venuta meno, concedendomi una più realistica e meno illusoria percezione di me stesso.
Mi ha giovato inoltre, conferendomi sicurezza ed una sana autostima, il fatto di sentirmi voluto bene da Angela come Giuseppe, quindi per me stesso più che per il mio ruolo. Ho percepito perfino di essere un privilegiato quando ho sentito vibrare all’unisono la mia dimensione spirituale con quella corporale. Senso di pienezza, di salute fisica, mentale, psicologica e spirituale che mi salvaguarda ora con più facilità da possibili derive compensatorie di cui nel passato mi sentivo più facilmente in balìa.
Ho sperimentato inoltre come la paternità fisica costituisca un qualcosa di straordinario che mi ha portato a capire Dio come Padre e Creatore di un qualcuno che proviene da lui, ma che è altro e non è più solo suo. Un’esperienza che ha visto accentuarsi il mio senso di responsabilità verso gli altri convincendomi del fatto che per voler bene e sentirsi responsabili di tutti è importante amare e sentirsi responsabili di qualcuno in modo particolare. Mi rendo conto anche di aver guadagnato in concretezza ed in realismo rispetto a quando, confessando per esempio un uomo che mi manifestava la sua difficoltà nel sopportare la suocera, risolvevo la questione con faciloneria dandogli una pacca sulle spalle e dicendogli: “Ma dai, abbi un po’ più di pazienza, mica sarà una belva questa suocera”. Mentre ora che io stesso sono chiamato a gestire il rapporto con una suocera spesso generosa nella sua invadenza… Come del resto mi rammarico delle tante volte in cui dal pulpito abbia proferito con esagerata sicurezza e spavalderia dei bei principi di morale sessuale senza percepire fino in fondo la complessità, la sofferenza e perfino la drammaticità che spesso accompagnano certe scelte dei coniugi.
Un decennio di prova, di svuotamento quindi, ma che grazie a Dio si sta aprendo a nuove, interessanti opportunità per me stesso, per la mia famiglia, per la comunità cristiana di cui faccio parte e forse, chissà, per la Chiesa di domani.
GIUSEPPE MOROTTI
* Ordinato prete nel 1974, entra a far parte della Congregazione dei Piccoli Fratelli di Charles De Foucauld; ha vissuto per 10 anni in Iran e per altri 10 anni è stato animatore della Fraternità di Spello. Poi ha ricoperto il servizio di responsabile della Congregazione
DA ADISTA del 15.04.2013.

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