«Sto per compiere quarant’anni e sarei un bugiardo se dicessi che non è una cosa su cui sto riflettendo. Circa un mese fa ho perso mio padre, e mentre mi occupavo di quelle disgustose faccende che si impossessano del quadro quando se ne va una persona che ami, mi sono distratto totalmente dal mio percorso. A un tratto mi sono voltato indietro per ricercare la riva, la riva che mi aveva sempre fornito le coordinate per orientarmi e non sono più riuscito a metterla a fuoco. Non c’era più. E con lei i ricordi. Annebbiati, confusi, indefiniti. In quel momento ho capito che ero in mare aperto. Forse avere quarant’anni ha proprio questo di bello: per la prima volta non ho un punto di riferimento e credo sia un bene. So che nessuna burrasca mi può uccidere e che la rotta è tutta da inventare».
Cesare Cremonini, 40 anni a marzo, 20 di carriera (il primo singolo, 50 Special, uscì nel maggio 1999): prima di celebrarli il 29 novembre con Cremonini 2C2C – The Best Of, 6 inediti e 32 grandi successi in versioni da collezione, si racconta a Vanity Fair, che gli dedica la copertina del numero in edicola da oggi. E si racconta bambino cresciuto a cavallo tra la generazione X e quella dei Millennial. «Sono nato nel 1980», spiega, «e la mia generazione è stata lasciata abbastanza sola per emanciparsi e poter fare a meno degli altri. Questo ci ha fatto diventare adulti in fretta. Era ancora un’epoca in cui gli adulti esistevano solamente nel momento del rigore, ma poi già a 9-10 anni si andava a scuola e si tornava da soli. Da ragazzini eravamo soli nel gioco, soli nei pomeriggi in camera con l’amico, soli davanti al primo film horror, alla prima donna nuda vista in tv, alla prima sbornia. Si combinavano i guai, si piangeva e si soffriva fortunatamente da soli. Oggi invece molti adulti, per precauzione mi ci metto dentro anche io, sentendosi eternamente giovani, occupano tutti gli spazi destinati ai più piccoli, che non hanno più la propria privacy per giocare in santa pace. Trovo invadente la presenza degli adulti nei social per ragazzini, per esempio. Andare a caccia di like tra i minorenni sembra essere diventata la nuova occupazione di un sacco di persone».
L’ultima volta che ha avuto paura: «Quando è morto mio padre la parola paura ha assunto un significato molto più chiaro rispetto a prima. Dopo tanti anni di autosufficienza emotiva mi sono trovato improvvisamente nella condizione di non avere la più pallida idea di come si affrontasse qualcosa di totalmente nuovo: il lutto. È stata la prima volta negli ultimi venti anni in cui ho avuto davvero paura di qualcosa».
Dieci anni fa, sempre a Vanity Fair, Cesare Cremonini aveva detto che la sua vita sarebbe cominciata davvero proprio dopo la morte del padre. «Mi domandavo soprattutto se la sua scomparsa mi avrebbe liberato da alcune catene che in qualsiasi famiglia si cresca – e la mia è stata per così dire sentimentalmente intensa – ci si porta sempre dietro». E in effetti: «È successo. In passato mi sono sempre preoccupato di dover difendere la mia famiglia dal mio ruolo pubblico, per esempio, ma ora forse non ce n’è più bisogno. Ho spezzato le catene più antiche e mi è restata questa: una bellissima catenina d’oro del 1920. Era quella che papà portava sempre al collo. Adesso la tocco e lo sento vicino».
Viene sempre dal padre, spiega Cremonini, la sua venerazione per le donne. «Stamattina sono andato a comprare due libri e mentre tornavo indietro, ho incrociato lo sguardo di una bellissima ragazza. Le si sono illuminati gli occhi. I suoi e i miei. La mia ragazza non se ne avrà sicuramente a male, ma io credo che idealmente dovremmo provarci con qualcuno tutti i giorni. Provarci in senso lato, ovviamente, senza pensare allo sguardo come un atto finalizzato a un secondo fine, piuttosto a un ballo, a un gesto galante, gentile, alla maniera di mio padre. È un gioco innocente, ma riconoscere alle donne non solo la loro bellezza, ma anche la loro intelligenza e le loro virtù, soltanto con un sorriso non può essere un male. Siamo entrati in un secolo che a livello globale, sociale e politico è e sarà loro».
Intanto però Cesare è fidanzato (al centro della sua vita ci saranno «l’amore e le sue conseguenze», risponde vago a una domanda sui progetti di paternità) e mettere su Instagram la foto della fortunata gli è costato qualche like. «Fa parte del gioco. Un mio caro amico, prendendomi in giro, mi aveva provocato: “Tu sei molto riservato perché in realtà sei geloso” e io ribattevo con un senso di protezione: “Non voglio che qualcuno paghi per i miei errori e che prenda critiche che investirebbero me”. Per verificare l’ipotesi, ho dato retta all’amico. Alla fine però credo sia meglio non mettere fotografie personali sui social».
Per uno che ha cantato di Senna e di Baggio, sembra normale chiudere l’intervista con lo sport e con Sinisa Mihajlovic, l’allenatore del suo Bologna, che sta affrontando la leucemia stretto dall’affetto dei tifosi e della città. «Bologna», dice Cremonini a Vanity Fair, «è una città che ha vissuto fianco a fianco con personaggi di dubbio valore sportivo: presidenti avventurieri, allenatori egocentrici, giocatori che forse anche per colpa dell’ambiente non hanno mai sudato l’anima. Poi arriva Sinisa. Con la sua silenziosa dignità. Con il suo esempio. Un uomo vero. Una grande persona. Ci ha dato più lui in queste settimane che tutto il Bologna in dieci anni. Dentro lo sport pulsa un microcosmo straordinario. Che è fatto di sacrificio, di semina e di raccolto. C’è più poesia in certi gesti sportivi di Valentino, Roberto Baggio, Federica Pellegrini, Matteo Berrettini, che in tanti testi di canzoni di oggi che vengono definiti poetici».