E’ stata promossa dall’agenzia di rating Moody’s, impensierisce le tute blu tedesche ed è al centro della discussione politico-sindacale da settimane: la Riforma del Lavoro non piace al sindacato di Susanna Camusso laddove crea un mercato del lavoro in cui il reintegro per i lavoratori a tempo indeterminato sarà previsto solo per i casi discriminatori e disciplinari, e le forme contrattuali sono semplificate e ridotte senza però passare al contratto unico. Ne abbiamo parlato con Franco Tavella, segretario regionale della Cgil campana.
Segretario, partiamo inevitabilmente dal Jobs Act e per un momento mettiamo da parte il tema dell’articolo 18. Cosa non vi piace di questa bozza di riforma?
«Con il Jobs Act i lavoratori saranno più soli e indifesi. Il provvedimento voluto da questo Governo, a colpi di fiducia, porterà a un’ulteriore precarizzazione dei giovani, toglierà diritti fondamentali. Si andrà insomma, nelle singole aziende verso una logica di subordinazione del lavoro. Non possiamo dimenticare però che il primo dramma dell’Italia resta quello della disoccupazione e, in particolare, di quella giovanile e meridionale. Da tempo noi reclamiamo una nuova politica economica, una svolta che faccia uscire il Paese dalle secche dei vincoli di bilancio e dall’impostazione incentrata sull’austerità. Invece il Governo fa un classico depistaggio, parlando di articolo 18, per distrarre la gente dal vero dramma di oggi: la mancanza di lavoro».
Quindi, veniamo all’articolo 18. Il presidente di Confindustria Campania Sabino Basso ha dichiarato qualche giorno fa: “Senza articolo 18 le assunzioni decolleranno in maniera esponenziale”. Vuole commentare?
«Senza articolo 18 si abbasseranno semplicemente le tutele per i lavoratori. Una norma di civiltà che va mantenuta! Incontro tanti imprenditori che mi parlano dei loro problemi aziendali, di mercato, di un credito non adeguato, di infrastrutture insufficienti, di una burocrazia che rallenta gli investimenti. Sono questi i problemi vissuti dall’imprenditoria campana. Sbaglia il presidente Basso a pensare che un abbassamento delle tutele determinerà investimenti e nuova occupazione. Cassare l’articolo 18 renderà semplicemente più precario il mondo del lavoro. E la precarietà, in Italia, è già molto alta».
Spesso i sindacati, anche in queste settimane di discussione, sono accusati di fare gli interessi esclusivi di chi è all’interno del mercato del lavoro finendo, attraverso la “tutela esasperata” dei diritti di questi lavoratori, per affossare ulteriormente chi un lavoro non ce l’ha. Penso ai giovani, che in effetti non hanno una grande fiducia nei sindacati. Cosa risponde a questa lettura del vostro operato?
«Non si tratta di fiducia. In Italia un lavoratore su tre è iscritto al sindacato confederale. Una rappresentanza di milioni di iscritti che merita rispetto. Lo stesso che il Presidente del Consiglio riserva a Berlusconi. Poi mi sembra evidente che se sei precario, a tempo determinato, lavoratore con i voucher, hai qualche timore a iscriverti al sindacato. Detto questo, non nego che sui giovani occorre fare di più e su questo io credo dovrà misurarsi la Cgil nei prossimi anni. Le accuse al sindacato spesso rispondono a vere e proprie campagne demagogiche non supportate da alcun elemento di merito. L’accanimento senza precedenti che abbiamo registrato in questi mesi non credo faccia bene al Paese. Vedo troppe suggestioni autoritarie che, se accentuate, possono trascinarci in una situazione ad alto rischio e difficilmente gestibile».
Parlando di giovani, vi convince il progetto ‘Garanzia Giovani’ con particolare riferimento alla Campania?
«Nessun provvedimento, se non supportato da forti investimenti e da una nuova politica per il lavoro, può essere efficace. La grande risposta dei ragazzi alla piattaforma di ‘Garanzia Giovani’ dimostra ancora una volta quanto il dramma occupazionale della Campania abbia superato il limite di guardia. Ormai siamo di fronte a una vera e propria emergenza sociale. I giovani che vivono in solitudine la loro condizione di disagio per la mancanza di lavoro non possono comunque essere penalizzati a vantaggio dei “professionisti della disoccupazione” che sempre più spesso diventano protagonisti della protesta».
Nella nostra regione, come al Sud, disoccupazione e vertenze – lo ha appena detto – non mancano. Può dare un giudizio sull’operato della Giunta Caldoro in questi anni? Al netto della crisi economica, dove e quanto si è sbagliato?
«Si è sbagliato soprattutto sul terreno della sanità e dei trasporti. Per quanto riguarda la sanità sono stati i cittadini e i lavoratori a pagare il prezzo del risanamento dei conti tanto propagandato dal governatore. I cittadini sono stati vessati con il ticket più alto d’Italia, mentre i lavoratori del settore hanno dovuto fare i conti con un blocco del turn over che ha di fatto decretato lo stop a ogni tipo di assunzione. Sul fronte dei trasporti siamo di fronte a due vicende paradossali. La prima riguarda la nuova politica tariffaria annunciata dalla Regione – che in pratica abolisce il biglietto unico – alla quale corrisponde un servizio, in particolare nelle zone interne, di pessima qualità. Poi, sempre sul fronte dei trasporti, c’è da registrare l’ennesimo provvedimento di ostativa antimafia ai danni di un’azienda che tranquillamente continua a gestire il trasporto pubblico nella provincia di Caserta. L’assessore Vetrella alza le mani e afferma di non poter interrompere un servizio di pubblica utilità. Intanto sono mesi che attendiamo una risposta dal ministro dell’Interno al quale abbiamo sottoposto la questione. Sempre per quanto riguarda la Regione, c’è un evidente limite sul terreno dell’utilizzo dei fondi europei e una clamorosa disattenzione sul fronte delle politiche industriali. Saranno comunque i cittadini campani, nelle prossime elezioni regionali, a giudicare l’operato della giunta Caldoro. A noi spetta sindacare e lottare per correggere un’impostazione che non condividiamo».
Il 25 ottobre ci sarà la mobilitazione nazionale Cgil a Roma. Possiamo definirla una manifestazione contro il Jobs Act o contro il Governo?
«Il Jobs Act e l’articolo 18 saranno il filo conduttore, ma saremo in piazza come Campania per contestare una linea di politica economica che ha penalizzato il Paese e il Mezzogiorno in particolare. La Campania porterà in piazza le sue 600 vertenze e i segni chiari di una crisi economica che ha trasformato la situazione attuale in una vera e propria emergenza nazionale. Saremo in piazza per difendere la dignità del lavoro e proporre una diversa politica economica che rimetta al centro il Mezzogiorno e la Campania. Un’area di 20 milioni di cittadini che non può essere abbandonata a se stessa».