Rispondere alla domanda è facile: ha vinto Benjamin Netanyahu. Per la quarta volta, gli Israeliani al voto hanno premiato il leader del centrodestra e del partito Likud. Le posizioni politiche di Netanyahu e i suoi discorsi in giro per il mondo sono noti a tutti. Sappiamo che difficilmente mollerà la presa sulla striscia di Gaza, che i Palestinesi, dipendesse da lui, non avrebbero vita facile, e che nemmeno i migranti africani giunti in territorio israeliano hanno avuto un trattamento di favore da parte di quegli stessi ebrei che, neanche cento anni fa, non avevano una terra e uno Stato.
Se cambiassimo i termini della questione, però, chiedendoci invece che cosa ha vinto in Israele, la risposta sarebbe diversa. Ha vinto il conservatorismo, l’immobilismo, l’incomprensione. Il candidato avversario era Isaac Herzog, leader dell’opposizione di centrosinistra, preoccupato di risolvere l’annosa faccenda del conflitto israelo-palestinese seguendo la linea dei due popoli-due Stati. Ciascuno con la propria libertà, ciascuno coi propri confini. Netanyahu, invece, nei giorni di campagna elettorale è sempre stato molto chiaro al riguardo. Non ci sarebbe mai stato un territorio palestinese, ma solo un unico grande Stato di Israele. Voleva prendersi tutto, lasciando ai vicini arabi soltanto le briciole, e forse nemmeno quelle. Per questo lasciano stupiti e perplessi le sue dichiarazioni del post-elezioni, o meglio, del post-vittoria elettorale, in cui afferma di essere disponibile alla soluzione dei due Stati. Dice di non aver cambiato politica, la sua idea è sempre stata quella; ciò che è cambiato, è la realtà. Per perseguire quella linea politica volta a riappacificare le due nazioni belligeranti ormai da tempo immemore, secondo Netanyahu devono cambiare alcune condizioni. Ma le condizioni sono già cambiate, la realtà stessa, come dice lui, è cambiata. E ciò è successo anche a casa sua, che lo volesse o no.
Innanzitutto, è difficile credere che i negoziati coi Palestinesi possano riprendere con serenità dopo la campagna elettorale di questi giorni che a tutto era teso, fuorché a distendere i rapporti con gli eterni nemici. Netanyahu ha messo in circolo lo spauracchio degli “Arabi al voto in massa”, chiedendo agli ebrei di accorrere numerosi alle urne per limitare gli effetti della affluenza araba al voto. Aveva anche negato, come già detto, di voler procedere verso la two-state solution. E allora, come l’avranno presa i Palestinesi nel frattempo? Hanno capito che Israele ha scelto «la via dell’occupazione e della colonizzazione e non del negoziato e del collaborazione», come riferisce Yasser Abeb Rabbo, segretario generale dell’Olp. Chiaramente, agli arabi non sono piaciuti i suoi slogan elettorali, e anche al di là del Medio Oriente ci si è fermati a riflettere sull’improvviso ammorbidimento del dopo elezioni. Quale affidabilità può mai avere allora Benjamin Netanyahu? Quali speranze può avere il dialogo di pace se queste sono le sciagurate premesse? Ma soprattutto, se per guadagnarsi l’appoggio degli Israeliani e garantirsi la vittoria ha dovuto fare leva sul loro astio verso gli arabi, non vorrà dire, allora, che per quanto possa dire il loro leader, gli ebrei non sono disposti a fare nessuna concessione ai Palestinesi?
Netanyahu, dispiace dirlo, e saremmo ben lieti di sbagliarci, non lascia presagire alcun cambiamento, nessuna innovazione seria e risolutiva all’orizzonte. La possibilità è che le cose restino, ancora una volta, proprio come sono.