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Clima: da Lima piccoli passi in avanti della diplomazia

Nella “Lima call for Climate Action”, la conferenza sul clima della Nazione Unite conclusasi nel weekend in Perù, c’era in gioco il successo del vertice 2015 di Parigi in cui verrà stilato l’accordo che andrà a sostituire il protocollo di Kyoto a partire dal 2020. L’obiettivo è vincolare tutti i Paesi a limitare il riscaldamento climatico a 2 gradi e la recente intesa tra Usa e Cina raggiunta nelle scorse settimane aveva fatto ben sperare. In realtà, la trattativa peruviana ha a lungo destato preoccupazione per le difficoltà di trovare un punto di contatto tra Paesi industrializzati ed economie emergenti. Se si è arrivati a un accordo, lo si deve molto alla caparbietà e alla diplomazia messa in campo dal ministro peruviano dell’Ambiente e presidente della conferenza, Manuel Pulgar Vidal, che ne ha evitato il fallimento, sopratutto di fronte alle minacce di far saltare il tavolo del capo delegazione USA, Todd Srn.

Nei prossimi mesi si dovrà però lavorare intensamente per arrivare a Parigi con una base negoziale più solida e, a tal fine, ciascun Paese dovrà elaborare un piano dettagliato per ridurre le emissioni di gas serra generate dalla combustione di carbone, gas e petrolio che sarà pubblicato su un sito dedicato delle Nazioni Unite. Secondo il rapporto Germanwatch, negli ultimi cinque anni vi è stato un rallentamento della crescita delle emissioni globali di CO2 anche grazie allo sviluppo delle rinnovabili in ben 51 dei Paesi presi in considerazione, ma pure a causa della crisi economica che ha arrestato la  produzione.

Nonostante le perplessità manifestate da ambientalisti e ong, secondo cui l’intesa è debole, dal “Lima call for Climate Action” arrivano comunque piccoli passi in avanti.

Ad esempio, le 37 pagine del documento finale contiene un compromesso tra Paesi ricchi, poveri ed emergenti che vincola tutti al massimo impegno. I Paesi industrializzati hanno ottenuto la previsione di un metodo di certificazione dei tagli alle emissioni; quelli maggiormente minacciati dal climate change, come le isole del Pacifico e dell’Atlantico, avranno diritto a compensazioni per i danni ricevuti; i cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) potranno volontariamente scegliere di prendere impegni per il taglio delle emissioni; mentre quelli in via di sviluppo avranno un duplice beneficio: saranno i Paesi ricchi e quelli emergenti a farsi carico della parte più consistente dei tagli alle emissioni, e dovranno versare cospicui finanziamenti per il sostegno degli obiettivi comuni.

Infine, altra novità interessante è quella relativa al sostegno del Green Climate Fund che finanzierà i danni subiti e i trasferimenti tra nazioni di tecnologie pulite. Il fondo, grazie all’impegno di Messico, Colombia e lo stesso Perù (Paesi in via di sviluppo) e al deposito di 22 milioni di dollari, ha superato la somma prevista di 10 miliardi di dollari all’anno. La loro decisione potrebbe stimolare altri Stati a fare altrettanto, soprattutto quelli già sviluppati rendendo possibile il raggiungimento dell’obiettivo fissato per il 2020, cioè una disponibilità di 100 miliardi di dollari all’anno.

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