Quante persone sono state colpite dal coronavirus in Italia? Per scoprirlo, gli esperti del Comitato tecnico scientifico della Protezione civile hanno deciso di avviare uno studio su un’indagine di sieroprevalenza nazionale, che potrebbe avere implicazioni epidemiologiche e anche lavorative. Gli esperti stanno cercando di capire come organizzare il lavoro e coordinare le regioni: alcune, come Toscana, Emilia, Lombardia, Veneto, hanno già annunciato di avere intenzione di indagare la portata dell’epidemia fra i loro abitanti attraverso esami sierologici, ma finora non c’è stato un confronto con le altre per arrivare a una strategia comune.
A che cosa servirà sapere quante e quali sono le persone infettate? Gli scopi sono due. Intanto, dal momento che i contagiati sviluppano una immunità che permette loro di non ammalarsi per alcuni mesi, questo dato aiuterebbe a comprendere quanto l’Italia sia suscettibile a una nuova epidemia. Uno studio dell’Imperial College di Londra, martedì scorso, ha parlato di 6 milioni di italiani positivi, anche se secondo i ricercatori italiani si tratta di una cifra troppo alta. La seconda funzione di questi dati è legata alla riapertura del Paese: chi è immune, allo scadere delle nuove misure indicare nel dpcm, potrebbe tornare subito a lavorare e riprendere la vita di prima.
I test di sieroprevalenza vengono eseguiti con l’analisi del sangue. Secondo il virologo Giorgio Palù, questo aspetto è molto importante: «I benedetti tamponi ci danno la misura dei casi incidenti, ovvero quanti casi abbiamo al giorno in un determinato periodo», ha spiegato al Corriere. «La prevalenza, un dato statistico che si ottiene attraverso l’esame del sangue, ci mostra invece la distribuzione del virus e può fornirci informazioni fondamentali». Ad esempio, «incrociata con altri dati, può permetterci di capire se esiste una immunità specifica al virus, cosa che al momento nessuno sa, quanto può durare, e può darci indicazioni su come proteggerci dal contagio di ritorno, che in futuro diventerà non un problema, ma “il” problema».