Economia e Welfare

Coronvirus, Istat: ci saranno 10mila nascite in meno e aumentano le diseguaglianze sul lavoro

L’epidemia di coronavirus “ha colpito maggiormente le persone più vulnerabili, acuendo al contempo le significative disuguaglianze che affliggono il nostro Paese”. A evidenziarlo è il Rapporto Annuale Istat  secondo il quale “l’incremento di mortalità ha penalizzato di più la popolazione meno istruita”. E la crisi provocata dalla pandemia “produrrà i suoi effetti anche nelle dinamiche di riproduzione sociale delle diseguaglianze”.

Paura per il Covid, così circa 10mila nati in meno. Secondo l’Istat, così come riporta Tgcom24, “la rapida caduta della natalità potrebbe subire un’ulteriore accelerazione nel periodo post-Covid. Il clima di incertezza e paura associato alla pandemia in atto, mette in luce un suo primo effetto nell’immediato futuro, cioè un calo che dovrebbe mantenersi nell’ordine di poco meno di 10mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021″. E La prospettiva peggiora se si tiene conto dello shock sull’occupazione. I nati scenderebbero a circa 426mila nel bilancio finale del corrente anno, per poi ridursi a 396mila, nel caso più sfavorevole, in quello del 2021”.

Impatto significativo sulla mortalità. “L’impatto dell’epidemia sulla mortalità è stato significativo nel periodo di marzo e aprile”, spiega ancora l’Istat. L’epidemia ha colpito quasi 240mila persone e causato poco meno di 35mila decessi. Il numero di casi Covid-19 segnalati in Italia è massimo a marzo (113.011), con il picco registrato il 20 del mese, e poi inizia a diminuire; ad aprile i casi segnalati sono 94.257. Il calo e’ proseguito ancora piu’ marcatamente nei mesi di maggio e giugno. L’elevato numero di decessi osservato a causa del Covid-19 avrà, con molte probabilità, un impatto anche sulla speranza di vita. Se l’effetto Covid dovesse determinare per tre mesi un costante incremento, dell’ordine del 50%, della probabilità di morte in corrispondenza delle età più anziane, per il 2020 risulterebbero 710mila morti su base annua (73mila in più). In parallelo, la speranza di vita alla nascita scenderebbe a 82,11 anni (-0,87) e quella al 65esimo compleanno si ridurrebbe da 20,89 a 20,02.

Emergenza pesa sul lavoro di donne e giovani. Sul mercato del lavoro hanno risentito dell’emergenza donne e giovani, più presenti nel settore dei servizi, impattato dalle conseguenze del Covid. La chiusura della scuole, poi, può aver prodotto un aumento delle diseguaglianze tra i bambini. Il 12% delle imprese pensa di ridurre l’occupazione. Ad aprile 3,5 milioni in Cig mentre 7,9 milioni degli occupati non ha lavorato.

Tra le donne più diffusi orari lavorativi “antisociali”. Tra le donne è alta, anche se non maggioritaria, la diffusione dei cosiddetti orari antisociali – serali, notturni, nel fine settimana, turni – che assumono grande rilevanza per la qualità del lavoro e la conciliazione con la vita privata. Più di due milioni e mezzo di occupati – di cui 767mila donne – dichiarano infatti di lavorare di notte; quasi cinque milioni – di cui 2 milioni donne – prestano servizio la  domenica e oltre 3,8 milioni – 1 milione e 600mila donne – sono soggetti a turni.

Scala sociale, più probabile scendere che salire. La “classe” di origine influisce meno sulla collocazione sociale che si raggiunge all’età di 30 anni rispetto al passato ma pesa ancora in misura rilevante. Per l’ultima generazione (1972-1986), la probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose invece che salire è scesa. Il 26,6% dei figli rischia un “downgrading” rispetto ai genitori. Una percentuale, praticamente più di 1 su 4, superiore rispetto alle generazioni precedenti. E anche più alta di quella in salita (24,9%). Cosa che non era mai accaduta prima.

Forte coesione durante il lockdown, maggioranza ha seguito regole. Una “forte coesione” è stata il segno distintivo del Paese nella fase del lockdown. Alta la fiducia verso le principali istituzioni: in una scala da 0 a 10 i cittadini hanno assegnato 9 al personale medico e paramedico e 8,7 alla Protezione civile. La stragrande maggioranza dei cittadini, trasversalmente a tutto il Paese, ha seguito le regole definite, specie il lavarsi le mani (mediamente 11,6 volte in un giorno), disinfettarsele (5 volte), rispettare il distanziamento fisico (92,4% della popolazione), ridurre le visite a parenti e amici (l’80,9% non ne ha fatte) e gli spostamenti (il 72% non è uscito il giorno precedente l’intervista).

In 8,3 milioni potrebbero lavorare da casa. Durante il lockdown la quota di chi ha lavorato da casa, almeno per alcuni giorni nell’arco del mese, è aumentata, coinvolgendo più di 4 milioni di occupati. La stima dell’ampiezza potenziale del lavoro da remoto, basata sulle caratteristiche delle professioni, porta a contare 8,2 milioni di occupati (il 35,7%)”, fa sapere l’Istituto. Si scende a 7 milioni escludendo gli impieghi per cui in condizioni di normalità è comunque preferibile la presenza (ad esempio gli insegnanti).

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