«Spazio e tempo». Due parole magiche, che per Costantino della Gherardesca rappresentano – oggi più che mai – la chiave per «il lusso»: «Riuscire ad approfondire e decodificare ciò che abbiamo intorno ci permette di trovare il bello anche nel quotidiano, in quello che all’apparenza potrebbe sembrare squallido», rivela il conduttore a VanityFair, parlando del suo nuovo libro, «La religione del lusso» (Rizzoli Lizard), ironico e brillante di manuale di resistenza. «Racconto storie divertenti attraverso personaggi di vario tipo (da Michael Jackson a Barbara D’Urso, da Maria Teresa a Paola Perego, ndr): guardando la realtà con lucido distacco, se ne riescono a cogliere pure i lati comici».
Andiamo con ordine, c’è un episodio che l’ha spinta a scrivere questo libro?
«Mi trovavo in Algeria per vedere i luoghi dove hanno girato “La battaglia di Algeri”. Appena atterrato mi accorsi che quello stesso giorno era in programma la visita del presidente francese Macron: vidi l’aereo presidenziale, il corteo con auto, polizia, motociclette, persino un’ambulanza. Davanti al “grandeur” francese ho pensato che in Italia per una cosa del genere sarebbe scoppiato uno scandalo. D’altronde abbiamo una mentalità molto pauperista».
In che modo il coronavirus e il conseguente lockdown hanno influenzato la stesura?
«Raccontando un’Italia un po’ chiusa, tenuta sotto scacco da un pensiero sovranista, ho dovuto aggiornare alcune parti in quanto i problemi politici – e non solo – sono cambiati. Mi piace ricordare la parlamentare laburista Jo Cox, che in uno dei suoi ultimi interventi pubblici prima di essere assassinata, tirò in ballo il problema sociale della solitudine. Uno stato deve occuparsi anche del benessere psicologico delle persone: molte, durante il Covid, si sono sentite più sole. È utile vedere come hanno affrontato il problema altri paesi».
Tipo?
«Singapore, ad esempio, ha arruolato degli assistenti sociali che andavano nelle case delle persone anziane e spiegavano loro – con grande pazienza – come utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione, come WhatsApp, così da poter comunicare più facilmente con amici e familiari. Certi paesi, proprio durante la pandemia, ci hanno dimostrato che bisogna combattere la paura del progresso tecnologico. È un filo rosso del libro».
Il progresso tecnologico ha comunque alcuni aspetti potenzialmente critici, non crede?
«I cambiamenti fanno sempre paura. Anche quando arrivò la macchina da cucire in alcune fabbriche ci furono sommosse, ma non si può bloccare la storia. Penso pure alla polemica sulla app Immuni: com’è possibile preoccuparci all’improvviso della nostra privacy quando usiamo costantemente Google, Amazon e tante altre applicazioni alle quali forniamo i nostri dati. Credo che la posizione sovranista anti-progessista sia davvero pericolosa e in Italia non ce la possiamo permettere».
In questa visione del futuro, il web e i social come si collocano?
«Internet è un’arma, non a caso nasce come un progetto militare. Tutto sta nel come viene usato: in alcuni casi può sembrare che legittimi l’ignoranza, ma poi penso alla fatica che dovevo fare io, quando studiavo filosofia, per cercare un libro. Giravo per le biblioteche, a volte neppure lo trovavo: oggi basta un click per poter leggere tesi e testi accademici di ogni tipo. La curiosità diventa fondamentale».
La conoscenza può diventare un lusso alla portata, quindi.
«Oggi, in epoca di smartworking, il lusso è rappresentato dallo spazio in cui si vive e dal tempo che riusciamo a dedicare all’apprendimento. Scordiamoci pomelli d’oro, bottiglie di champagne e sfarzosi yacht: il lusso oggi è appunto avere tempo di leggere, di informarsi al fine di comprendere ciò che ci circonda, sia da un punto di vista economico che estetico: se si è istruiti, si riesce a trovare il bello – e l’arte – anche nella vita di tutti i giorni».
Anche la risata può a suo modo rientrare nei lussi di oggi?
«Assolutamente sì, è proprio la chiave del libro: avere la capacità di analizzare la realtà con distacco, decodificarla attraverso i propri strumenti e riuscire così a cogliere la comicità in tutto, in modo contorto ma allo stesso tempo intelligente, divertendosi. Come facevano alla corte di Versailles con Luigi XVI, quando organizzavano i balli e le donne indossavano parrucche a tema: era tutto molto sofisticato, l’esatto opposto di alcuni influencer che oggi si mettono a petto nudo con un prodotto da vendere»
Tra tutti i personaggi storici che cita, ce n’è uno che può rappresentare un esempio in tal senso?
«Sono particolarmente legato all’imperatrice Farah Diba, che in Iran ha portato opere d’arte meravigliose e festival musicali con artisti d’avanguardia. Lei ha sempre creduto nella cultura come strumento per arricchire la propria nazione, ancora oggi a Teheran ci sono delle splendide opere di Pollock e Warhol: organizzava iniziavate sofisticate, di un livello che oggi in Italia non vediamo».
Restando in tema di famiglie reali, a breve – oltre al programma «Resta a casa e vinci» in onda su Rai 2 dal 6 luglio – arriverà «The Royals» su Sky. Ecco, crede che i Windsor siano ancora espressione del lusso?
«La regina Elisabetta è l’ultima aristocratica Windsor, forse Carlo. Ma il discorso è diverso con i principini: ho visto che Harry e Meghan hanno preso un agente per fare dei talk e rimettersi sul mercato, cosa ben poco elitaria. Cito spesso il giornalista Alberto Mattioli che ha detto: “L’unico vero problema delle élite è che non lo sono abbastanza”. Quindi le nuove generazioni non possono essere paragonate alla grandezza di una Farah Diba».
Ma oggi c’è ancora spazio per un modus pensandi alla Farah Diba o i tempi sono troppo cambiati?
«Rischio di sembrare marxista, però penso che oggi il mercato premi le persone, anche ignoranti, che vogliono fare i soldi velocemente e non le persone istruite. Io credo nel libero mercato, ma è normale che ci siano anche dei meccanismi negativi: sta a noi combatterli e sovvertirli».
In primis riprendendosi il tempo, appunto, la chiave per il vero lusso.