Da un argomento di attualità all’altro: la settimana scorsa era la scuola, stavolta tocca ancora ai giovani, nuovamente protagonisti della puntata di Dentro i fatti, in onda su Radio Club 91, attraverso il tragico tema della delinquenza minorile. Anche in questo caso, però, la scuola entra nel merito della discussione, se consideriamo che la delinquenza tra i minori e è causa di un elevatissimo tasso di dispersione scolastica che, ogni anno, coinvolge in media il 17% dei ragazzi nella fascia d’età tra i quindici e i sedici anni (con punte ancora più alte in alcune regioni d’Italia).
Il padrone di casa Samuele Ciambriello entra nel vivo della questione con l’intervento di Piero Avallone, giudice del Tribunale minorile di Napoli, ragionando insieme sui disagi e sulle cause che portano migliaia di giovanissimi dritti nella morsa della micro (e macro) criminalità: «Bisogna prevenire il disagio. La prevenzione è l’elemento fondamentale. In questa città, che purtroppo ha tanti mali, bisogna riuscire a fare due cose fondamentali. Innanzitutto dare la speranza: i giovani devono avere la speranza di poter avere una vita normale, di poter lavorare, di avere un lavoro che sia alla luce del sole; secondo, se noi non li educhiamo al bello non otterremo mai un cambiamento. Non sto parlando di portarli a visitare i musei (che pure sarebbe una cosa importante), ma di educarli ad una vita civile, ad un quartiere che sia a misura d’uomo, che sia un posto dove sia gradevole vivere e dove il senso del comune sia rispettato. Ora, per fare questo è necessario, però, che in questa città si cominci a rispettare le regole: da quelle minime, dal casco sul motociclo alla carta gettata per terra, passando per le regole della buona educazione, fino a quelle che vengono sancite dal codice penale. E quando queste regole non vengono rispettate, è necessario che lo Stato intervenga e reagisca, nel senso di far capire che quello che si è fatto è una cosa sbagliata che ha delle conseguenze. Perché un altro dei drammi della nostra città è il senso dell’impunità che, soprattutto nei ragazzi, è veramente spaventoso».
In pochi minuti si giunge efficacemente al nodo della questione: il dilemma della criminalità non si risolve soltanto con misure punitive che, assai spesso, giungono quando ormai è troppo tardi. Bisognerebbe, invece, agire alla base del problema, intervenire sulle coscienze dei giovani campani (ma non solo), modellarne l’indole e la mentalità sul rispetto delle norme e del bene comune, il che significa, innanzitutto, fargli sentire che sono parte di quel bene comune, e che anche loro hanno il diritto e il dovere di prendervi parte, di contribuire alla realizzazione di un Paese migliore, anche e soprattutto attraverso un lavoro che, se da una parte serve a toglierli dalla strada, dall’altra li eleva e gratifica sul piano morale e personale.
«Gli strumenti delle forze dell’ordine e della magistratura – continua Avallone – negli ultimi anni sono stati particolarmente efficaci. Tutto questo ha creato nell’ambito della criminalità organizzata, che esiste a Napoli ed è endemica, delle falle che vengono riempite dalle leve più giovani, anche minorenni». Si fa riferimento qui al triste fenomeno delle baby gang, e delle orde di ragazzi e ragazzini armati che imperversano per le strade della città, forse per emulazione dei più grandi, al fine di ottenerne rispetto e gratitudine, o forse per dimostrare che loro dei grandi non hanno più bisogno. «Stiamo scoprendo una storia che, ahimè, è storia vecchia, e che è collegata sempre al fatto che in questa città un ragazzo non ha gli spazi per poter vivere la vita da ragazzo. Stiamo parlando di bambini a cui è stato negato il diritto di essere bambini, e non aver assicurato questo diritto è una colpa dello Stato».
Il richiamo alla presenza (o assenza) degli adulti, al loro esempio e alle loro responsabilità, induce proprio a pensare che «se questa città è quello che è, accade perché noi cittadini adulti siamo così per primi. La città è lo specchio di tutti noi. Bisogna cominciare a educare gli adulti, per poi poter sperare in leve giovani che siano diverse. Molto spesso le famiglie sono disattente o non hanno rappresentato dei buoni esempi. L’intervento dev’essere su due fronti e dev’essere dotato di continuità: non servono interventi occasionali, non servono cento poliziotti in più, servono interventi sul territorio che siano costanti e che abbiano professionalità».
In ultimo, un accenno a quella rappresentazione della criminalità organizzata e del fenomeno camorristico che, in tempi recenti, ha invaso cinema e tv anche in Italia con un enorme quanto inatteso successo di pubblico e di critica, nonostante ci sia chi vorrebbe che a questa rappresentazione di una Campania malfamata e degenerata, se ne sostituisse un’altra più rosea, che non mostri sempre il marcio di questa regione. Roberto Saviano, da parte sua, ritiene che quella non sia altro che una trasposizione fedele della realtà di tutti i giorni. «Saviano ha perfettamente ragione. Non è che dieci anni non si facessero questi film, queste serie televisive e i minori non entrassero nella criminalità organizzata. I nostri ragazzi non hanno bisogno di guardare la tv, quella è solo la fotografia di una triste realtà che più ci viene sbattuta in faccia, e più dovrebbe far riflettere».