Sul finire degli anni ’70 andai a Mosca come membro della delegazione CGIL al congresso della FSM (Federazione sindacale mondiale). Ci andammo per comunicare la nostra decisione di uscire dalla FSM e di aderire alla CISL Internazionale. I motivi erano tutti politici: la FSM era sotto l’influenza sovietica e la CISL era il sindacato europeo.
I sovietici ci contattarono ad uno ad uno ma ebbero sempre la stessa risposta: «Siamo qui su mandato della CGIL e non a titolo personale, perciò nell’assemblea generale sosterremo la posizione della nostra organizzazione». Nonostante ciò la diatriba politica fu l’occasione di incontri interessanti: il segretario dei Dockers di New York, il presidente dei sindacati dell’Alto Volta, un africano altissimo e bellissimo che faceva strage di cuori femminili e si presentava all’assemblea avvolto in tuniche multicolori e recando in mano il segno del comando, un frustino ricavato dalla coda di un elefante, il presidente dei Macchinisti egiziani, insomma un modo eterogeneo.
Fra i tanti incontrai anche Santiago Carrillo dirigente delle Comisionas Obreras spagnole uscito da poco dalla clandestinità. Alloggiava in una stanza vicino alla mia. Una sera passando davanti alla sua camera lo vidi seduto sul letto mentre silenziosamente piangeva. Entrai e gli dissi: «Compagnero que pasa?». Mi raccontò che aveva preso un taxi e che il tassista lo aveva imbrogliato sulla tariffa e sul resto. Dovete capire l’uomo: una vita di persecuzioni e di galera con in cuore l’ideale del socialismo e della terra dove sarebbe nato l’uomo nuovo. Scontrarsi col tassista imbroglione aveva messo in crisi i suoi sogni. Lo consolai alla napoletana: «Compagno i tassisti sono eguali in tutto il mondo. Sono prima tassisti e poi tutto il resto. È nella loro natura tentare di imbrogliare i clienti. È capitato anche a me ma io, da buon napoletano, me ne sono accorto e l’ho mandato a… Non piangere per questo, non lo merita». Terminammo la nostra conversazione bevendo del vino e facendoci gli auguri.
Qualche paio d’anni dopo capitai a Sevilla. Città bellissima. Un napoletano vi si sente a casa. Città civile, dal ritmo lento e piena di monumenti uno più bello dell’altro. I sivigliani ci somigliano, e sono orgogliosi dei loro allevamenti equini. Ci capitai nel pieno della “Feria de Abril”, una festa colorata, affollata e partecipata. I giovanotti e le ragazze ci vanno a cavallo, e i più bravi si “sparano le pose” cavalcando a pelo. È la festa delle donne. Donne di tutte le età dai quattro agli ottant’anni. Le ragazze sono semplicemente stupende. Portano i capelli tirati all’indietro e raccolti in un tuppo, in modo che il viso splenda della loro bellezza. L’abito della festa è lungo fino ai piedi e ornato di falpalà. Quando danzano con i loro passi sinuosi, l’ondeggiare lento del bacino, le braccia levate, le mani che si muovono al ritmo del “duende” e gli occhi ridenti “te fanno scemunì”!
Ho appreso che il flamenco viene insegnato ai bambini fin dall’asilo. La feria inizia a prima sera e si va avanti fino a notte. Vino, canto, ballo, mariscos e nacchere. Un tripudio di suoni e di colori. La festa si svolge per strada e in certe baracche mobili chiamate “Casetas”. Ogni rione o associazione ha la sua. Ne notai una chiamata “La Pecera” (PCE era la sigla del partito comunista perciò Pecera voleva dire “La comunista”). A scanso di equivoci sull’architrave c’era dipinta una sevillana con tanto di mantiglia e abito tradizionale che sul tuppo recava una pettenessa con la falce e martello. Entrai con i miei amici e mi immersi subito nella festa. Seduto ad un tavolo cominciai a parlare con i vicini – e chi mi tratteneva? – così una parola tira l’altra dissi ai miei ospiti che ero amico di Santiago Carrillo e che ci eravamo visti a Mosca. Successe il finimondo. Il mio vicino saltò sul tavolo e fece a gran voce l’annunzio, mi si fecero intorno entusiasti, mi fecero montare su di un tavolo, mi dotarono di una “copita” e pretesero un brindisi. Non lo so cosa dissi ma quando attaccai la “Quince brigada”, canzone rivoluzionaria, come dice Eduardo “se ne carette o triato!”
Fu difficilissimo andare via e sottrarsi alle loro pretese di insegnarmi il flamenco seduta stante. Una serata bellissima!!