“Non educate i vostri figli alla ricchezza, educateli alla felicità. Così, quando cresceranno, conosceranno il valore delle cose e non il loro prezzo”. Potrebbe essere riassunto con questa massima il libro di Aldo Masullo e Paolo Ricci intitolato Tempo della vita e mercato del tempo (ed. FrancoAngeli). Al di là della dicotomia valore-prezzo e valore-dignità, di cui si parla verso la fine del testo, e tralasciando la natura pedagogica della citazione, credo che la frase colga in pieno il “valore” dell’opera proprio in virtù dell’evidenza che istituisce: il mondo della ricchezza, il mondo dell’economia, non conduce per forza di cose al Valore e quindi alla felicità. Anzi: “La procedura azienda è puramente economica e ha come fine il raggiungimento ad ogni costo del profitto. Tale fine viola l’autonomia della vita, che è il suo rapportarsi a se stessa e quindi essere valore. Questo il grande scandalo del capitalismo”. Il secondo titolo dell’opera “Dialoghi tra filosofia ed economia sul tempo: verso una critica dell’azienda capitalistica” chiarisce quanto la questione del capitalismo sia centrale all’interno del testo. Ma andiamo per gradi.
C’è un’altra importante distinzione che viene posta all’inizio dell’opera: quella tra un’economia reale e la finanza: “Si sono modificati i fini, perché fine generico di un’economia fondata sull’azienda è la produzione di beni e servizi. Invece fine della pura finanza è il profitto”. È un libro che pone in contrasto due modalità differenti di interpretare la vita, un libro che esistenzialisticamente dice che l’uomo è progetto e che, in quanto progettualità, agisce per un fine, in base a un fine che agisce retroattivamente sull’agire, quel fine che Ernesto De Martino chiamò Valore. Quali sono le due modalità? Una modalità squisitamente umana e l’altra che rigetta l’umanità stessa nello scegliersi senza tempo: “La finanza è in grado di eliminare il tempo, di fare economia in condizioni atemporali”. Se “il rapporto tra l’azienda e il tempo è legato alla soggettività”, ciò vuol dire che si espone alla precarietà e al rischio di tale soggettività. La risposta a questo rischio è stata quella di voler eliminare il tempo. Come fare? Eliminando l’uomo: “Se il tempo, come io penso, è l’uomo stesso nell’avvertimento del proprio avvenire…” sostiene Masullo all’interno dell’opera chiarendoci, a più riprese, come sia la dimensione della temporalità a definire l’umanità e viceversa: “Poiché la vita è cambiamento, e a questo cambiamento diamo il nome di tempo, si può dire che il tempo è la condizione della vita, così come la vita è la condizione del tempo. Il valore è la stessa intensità della vita. Questo è il carattere immateriale del valore, il suo carattere non commerciabile”. È per questo motivo che il capitalismo contemporaneo ha tentato sempre più di vincere la dimensione umana, soggettiva, dell’azienda (viva ad esempio nell’800, interessante spunto di cui si arricchisce l’opera), con una spersonalizzazione e reificazione dell’umano: “Il capitalismo contemporaneo bada proprio alla distruzione del valore-dignità, cioè non ha interesse al valore come vita e quindi, in un’ottica aziendale, si spinge fino al punto di costruire desideri, cose che prima non sognavi neanche…”. Di critiche al capitalismo, a cominciare dal marxismo stesso, ne abbiamo viste e lette tante. Cos’è che rende questo testo originale dunque?
Il nostro mondo è un mondo in cui il genere economico va per la maggiore, tende costantemente all’egemonia (in questo senso è capitalista), ma su cosa si basa il genere economico? Sullo scambio di due elementi (a e b) tra due soggetti (x e y). Questo commercio dovrebbe essere equo e per definire tale reciprocità è necessario scritturare una misura comune. Ebbene, qual è questa misura comune? Marx risponde che è il tempo di lavoro sociale medio. Ovviamente, non è proprio il lavoro che scambiamo, quanto piuttosto il tempo che impieghiamo in quel lavoro per la produzione di quella merce. La produzione prende del tempo e questo tempo è sottratto al nostro “reale” tempo, al tempo in cui possiamo operare “scambi”. Si distingue quindi tempo reale e tempo astratto, il secondo possiamo accumularlo, possiamo addirittura averlo a credito. In tutto questo la moneta che noi conosciamo altro non sarebbe che “segno di un tempo accumulato astratto”. Masullo e Ricci, rileggendo Marx, comprendono perfettamente la portata del tempo, accolgono e vanno oltre il filosofo tedesco in un’attentissima analisi della società economica attuale: “Le aziende che fanno finanza hanno perso di vista il loro principale scopo: contribuire alla crescita e allo sviluppo delle aziende che producono beni che il mercato è in grado di assorbire. Hanno di fatto mutato i propri fini, non sono più al servizio delle altre aziende ma al servizio di se stesse. Forza non hanno più una finalità… le banche non interpretano il proprio ruolo come infrastruttura di mercato, fanno affari, solo e semplicemente affarri… non hanno un’anima”.
Il filosofo e l’economista nel dialogo che, platonicamente (e niente affatto in senso dispregiativo), intessono dando vita l’uno alle idee dell’altro, richiamandosi e stimolandosi vicendevolmente, contribuiscono a ritrarre la società attuale evidenziandone il cambiamento e la malattia che l’ha contagiata a macchia d’olio. Il problema non è più soltanto quello dell’alienazione, dell’essere pagati per lavorare un tot di tempo che però ti sarà irrevocabilmente sottratto, non è più quello del tempo reale e del tempo astratto; il lavoratore di oggi incappa, purtroppo, in nuove problematiche che, nella maggior parte dei casi, non hanno nemmeno sostituito quelle precedenti, vi si sono aggiunte: “Primo effetto della presenza rilevante dell’immateriale in azienda (per immateriale si intende la conoscenza ndr) è stata la crisi della misura del lavoro. Il tempo, in qualche maniera, sembrava essere il metro con cui ridurre a quantità misurabile il lavoro. Oggi il tempo necessario per una produzione diventa incerto: il carattere più qualitativo, meno misurabile, del lavoro mette in crisi la misura del lavoro stesso”.
I due pensatori dimostrano, quindi, di andare oltre i vecchi criticismi e di saper scandagliare con mente accorta l’orizzonte storico contemporaneo, nazionale e internazionale, dialogando di globalizzazione, crisi economica, nuovi assetti mondiali, e indicando inoltre un nuovo mito che, generato dal capitalismo, ha portato il capitalismo oltre se stesso, quello del riformismo: “Il riformismo forse è il vero mito del nostro tempo; né il profitto, né il capitale, né la ricchezza individuale hanno ottenuto tanto consenso quanto ne ha ottenuto l’idea che il mondo e il modo di vivere vadano continuamente modificati, senza sosta, senza fine”. Il riformismo visto dunque come “la risposta che una parte dell’economia, quella finanziaria, sembra abbia messo in campo per destabilizzare la società. Continue riforme non condivise non stabilizzano affatto, anzi destabilizzano”. In ciò Masullo rintraccia la “tragicità della democrazia”: l’estensione orizzontale democratica, l’apertura a più e più mondi, ha condotto all’inevitabile impossibilità di “convogliare sette miliardi di teste su un modello”. La risposta è stata quella di cambiare, cambiare sempre, assumendo il cambiamento stesso come unico modello possibile, onde soddisfare tutti e nessuno. Ecco, quindi, che la contro-risposta non può essere altro che quella di ristabilire un fine, un progetto, riconquistare la nostra soggettività, riappropriandoci del nostro tempo. Se “il capitalismo ostacola la possibile felicità dell’uomo” e se il capitalismo è mercato del tempo, è chiaro che l’alternativa da imboccare è quella di un tempo della vita.
Il libro di Masullo e Ricci è, dunque, un libro che ci dice due cose: innanzi tutto, si può riflettere idealmente sull’Economia, essa non va intesa in senso esclusivamente pragmatico, anzi è necessario raggiungere un livello d’astrazione tale da poter meglio visualizzare determinate tematiche; e, in secondo luogo, ci dice che la risposta all’angoscia umana derivante dal mostro a tre teste capitalismo-globalizzazione-riformismo è nella cultura, nelle cultura di un fine, nel riprendere la propria soggettività, nel Tempo, nell’Uomo. Per questo è sì un libro sul Tempo e l’Economia ma è anche, principalmente, un libro sulla felicità.