Non solo “terra dei fuochi”, verrebbe da pensare. O almeno, questa terra di cui tanto si è parlato e si parla ancora non è solo quella che credevamo. C’è di più, molto di più, come è venuto fuori letteralmente in questi giorni. Un male che se ne stava nascosto sotto i nostri piedi da chissà quanto tempo, che era stato sepolto giù in profondità dove non potesse vederlo nessuno e nuocere a molti. Un male che dal sottosuolo divora, per riprendere una nota citazione telefilmica, mentre noi divoravamo quel che vi cresceva sopra. È il risultato dell’inchiesta cominciata marzo 2013 e culminata, lo scorso 11 aprile, nell’arresto di 14 persone tra Campania e Puglia e al sequestro di aziende e discariche per un totale di 25 milioni di euro. L’operazione, chiamata “Black Land” (terra nera), ha coinvolto più di 150 investigatori del NOE di Bari, della direzione investigativa antimafia di Bari e del Comando provinciale Carabinieri di Foggia, che hanno accertato un grosso giro di traffico illecito di rifiuti, che andava da Salerno a Caserta, a Foggia, a Benevento, fino a Campobasso. Si tratta della solita munnezza campana, proveniente dai comuni delle province di Salerno e Caserta, e che a molti farà pensare che di munnezza in giro ce n’è tanta, non solo quella propriamente detta, ma anche l’altra, quella che cammina su due piedi, parla e respira.
La frazione umida di tutta questa spazzatura era destinata, dopo un breve soggiorno ni siti della Sele Ambiente di Battipaglia e della Ilside di Bellona, dove non riceveva nessun tipo di trattamento ma era anzi corredata da documentazione falsa, ad essere tombata nell’area agricola di Ordona, in provincia di Foggia, mentre la frazione secca era appunto dispersa tra le quattro regioni della Campania, la Puglia, il Molise e la Basilicata, e tutto appoggiandosi alle aree di stoccaggio foggiane come quella della Ecoball Bat di Cerignola. Laghi, corsi d’acqua, aree coltivate, non importa cosa ci fosse nelle vicinanze: quel che contava era togliersi di mezzo quelle migliaia di tonnellate (più di 500mila) di rifiuti. Alle conseguenze poi qualcuno ci avrebbe pensato.
E intanto ad Ordona si è cominciato a scavare. Tecnici ed esperti hanno iniziato ad esaminare il terreno appena pochi giorni fa, il 23 aprile, mentre le ruspe ribaltano il suolo portando alla luce cumuli di sacchetti e rifiuti d’ogni tipo, che a mano a mano diventeranno montagne terrificanti di spazzatura e di ignoranza. Si comincia col prelevare le carote, vale a dire i campioni di terreno che saranno sottoposti alle dovute analisi negli appositi centri specializzati per stabilire con esattezza il grado d’inquinamento della zona ed anche quale tipo di rifiuti siano stati messi a dormire lì sotto.
Le antiche rovine della città di origine romana da oggi saranno in compagnia di altre rovine, per nulla affascinanti, quelle morali di un Paese martoriato dall’incoscienza di una popolazione che non ha cura né del suo territorio né del benessere proprio e altrui. «Se gli scavi confermassero la presenza di circa 500mila tonnellate di rifiuti interrati ad Ordona» ha detto Rossella Muroni, direttrice generale di Legambiente, insieme al presidente di Legambiente Puglia, Francesco Tarantini, «ciò vorrebbe dire che circa 20mila camion carichi di rifiuti hanno lasciato la Campania per raggiungere la Puglia. Come è possibile che nessuno si sia accorto di nulla? Solo l’inerzia diffusa delle istituzioni, la disattenzione di chi doveva controllare, e una fitta rete di collusioni e omertà possono aver consentito l’invisibilità di una colonna di circa 20mila tir che dopo la Campania ha fatto tappa anche in Puglia». Che in sostanza è ciò che si chiedono tutti. Se pure i camion in questione fossero riusciti a passare in virtù della falsa documentazione allegata ai rifiuti che trasportavano, com’è stato possibile che nessuno, nell’arco di questi ultimi trent’anni in cui potrebbero essere stati versati sotto il nostro terreno, si sia accorto di quanto male sarebbe andato ad alimentare i prodotti di quel terreno, e che potenzialmente sarebbero anche potuti finire sulle nostre tavole per inquinare anche le nostre vite? Chi è che dovrà rispondere di tutto questo, soltanto la camorra o anche qualche alto dirigente, qualche istituzione colpevole di aver chiuso non uno, ma entrambi gli occhi?
Terra dei fuochi o no, il Sud Italia è stato martoriato, questo è fuor di dubbio. Si può solo sperare che “Black Land” resti soltanto il nome di un’operazione dei Carabinieri, e non resti appiccicato addosso ad una terra innocente e a tutti noi, come un marchio della peggiore munnezza made in Italy, per indicare al resto del mondo quanto marcio c’è da queste parti.