Matteo Renzi ha detto che non chiederà un passo indietro agli indagati, per il solo fatto di essere “indagati”. Ed ha dato il via libera alla candidatura di Vincenzo de Luca, benché (o forse perché) condannato in primo grado per una questione di natura meramente formale.
Il PD ha un codice etico rigoroso, equilibrato e ragionato. Un codice che oggi in parte contrasta con la legge Severino. Una legge che va difesa nel suo impianto centrale ma corretta in alcuni suoi aspetti applicativi: nata per combattere la corruzione si è trasformata, talvolta, in una camicia di forza per gli amministratori locali che vogliono operare con coraggio, “decidere” e non “vegetare”.
In attesa che la Corte Costituzionale o il Parlamento facciano il “tagliando” alla Severino (tagliando sulla cui opportunità concordano tutti, da Cantone a Renzi) è necessario che si valuti con attenzione la portata degli scandali e delle accuse. Di inchieste e scandali, infatti, sono piene le cronache tutti i giorni. Ma non per questo si possono accettare processi mediatici e mandare a casa tutti gli amministratori coinvolti. Matteo Renzi ha seguito una linea politica garantista, “il comune sentire”, ovvero la saggezza popolare: occorre discernere, esiste scandalo e scandalo, inchiesta ed inchiesta.
Tra un non condannato che gestiva in modo disinvolto appalti per miliardi di euro ed un condannato in primo grado per reati formali, esiste una sostanziale differenza, che i cittadini mostrano di comprendere. “Un giustizialismo alla rovescia, esercitato dalla piazza anziché dal tribunale”, cosi ha etichettato il fenomeno Antonio Polito in un editoriale sul Corriere delle sera del 15 Marzo. Ma non è detto che il giustizialismo della piazza sia un male peggiore del giustizialismo politico, purché esso si muova nel rispetto delle norme esistenti e queste norme siano chiare, definite e costituzionalmente legittime.
Occorre trovare un sano equilibrio tra presunzione di innocenza e lotta alla corruzione. Nessun passo indietro da parte del Governo rispetto alla lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. I provvedimenti che vanno in questa direzione sono tanti e corposi. Allo stesso tempo, tuttavia, se non si vuole paralizzare il paese, non è possibile accettare una dittatura del finto moralismo: se vi sono accuse di natura formale, come è quella che coinvolge sostanzialmente Vincenzo de Luca, non si può pretendere dall’interessato alcun passo indietro.
E’ una colpa grave aver nominato come project manager (e non coordinatore) un funzionario comunale per la astronomica cifra di ottomila euro di compenso per due anni di lavoro? Chiedere un passo indietro ad un amministratore pubblico che ha fatto del bene per venti anni al territorio, e ha operato con trasparenza ed onestà, per una dubbia condanna di primo grado per “abuso di ufficio” (fattispecie nella quale, al di là dell’altisonante vocabolo rientra oggi ogni ipotesi residuale di reato) è una cosa che l’opinione pubblica non accetta, perché profondamente ingiusta.