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DE MAGISTRIS: LA VITTORIA DELL’IDENTITA’ E DELL’IMMAGINE.

di Domenico Pizzuti

L’affermazione di Luigi De Magistris nelle elezioni amministrative del Comune partenopeo domenica 5 giugno 2016, – 42,8 % dei votanti, anche se nella città di Napoli si registra la più bassa affluenza elettorale: 54% – non ha solo una rilevanza locale ma lo proietta sullo scenario nazionale insieme agli altri aspiranti sindaci di grandi città andati al ballottaggio, per una esperienza ed un linguaggio particolare che lo ha portato alla ribalta.

Per tentare di comprendere questa affermazione non solo elettorale bisogna primariamente riferirsi al contesto napoletano, o meglio alla città e/o comunità napoletana nella crisi economica e sociale degli ultimi anni, che pesa più gravemente sulla cittadinanza per uno sviluppo incompiuto ed un’identità da riconfigurare. Può aiutare  prendere in considerazione  la dimensione dei risultati elettorali conseguiti: il sindaco uscente risulta vincente in 9 Municipalità su 10 e sfiora il 60% nel suo quartiere di provenienza, il Vomero, conquistando la Presidenza di 5 Municipalità compresa Bagnoli-Fuorigrotta, un tempo riserva della sinistra. A differenza di altri candidati sindaci del PD di grandi città come Roma e Torino (Giachetti e Fassina), il risultato elettorale del sindaco uscente a Napoli si spalma su tutta la città, compresi quartieri popolari e del Centro Antico, da Bagnoli-Fuorigrotta ad ovest a Poggioreale ad est, oltre Avvocata-Montecalvario e Stella, San Carlo Arena nei Centri Storici. Questa onda del “movimento viola” interessa territori e strati sociali diversi, da quelli popolari a quelli  di ceto medio e di piccola e grande borghesia, ad eccezione del quartiere  Chiaia/Posillipo conquistato dalla lista di Lettieri.

Questi risultati fanno ritenere che il Nostro con un linguaggio politico-ideologico abbia intercettato e compattato attivisti ed elettori sensibili ad un messaggio ideologico ed identitario, distogliendo l’attenzione dalla verifica del bilancio amministrativo con le sue falle contabili. Per capire il linguaggio di De Magistris, bisogna collocarsi nello scenario retorico e ideologico che costituisce il suo mondo e la sua prospettiva più ampia. La rivendicazione di autonomia comunale  di una città proiettata su uno scenario nazionale ed internazionale, come Barcellona e Madrid; di liberazione dal basso, quasi di ribellione contro poteri forti ed istituzioni governative centralizzanti ed invadenti; un movimentismo popolare più evocato che reale, una sorta di “zapatismo in salsa campana” come è stato definito, incontra una città “ferita”, frammentata e sconnessa, con una mobilità sociale quasi inesistente, senza vere rappresentanze politiche e sociali, un pastore, ed un’identità comunitaria da riscoprire. Facendo leva su un richiamo identitario che dà fiato all’orgoglio napoletano, proponendo una prospettiva o visione di città più che una vera e propria mission definita in Italia, in Europa e nel Mediterraneo.

Alieno da facili spiegazioni culturalistiche, in questo caso riteniamo che elementi identitari dell’esperienza e del linguaggio di De Magistris abbiano avuto peso e compattato gli elettori, che hanno quardato al personaggio quasi come ad un novello Mosè che evoca la terra promessa di una città grande e libera nello scenario nazionale ed internazionale. Perchè questa prospettiva non sia un miraggio da stagione elettorale, si richiede una progettualità di crescita e sviluppo almeno di medio termine, una convergenza di sforzi, professionalità, risorse economiche, sociali e culturali per la valorizzazione non solo di beni artistici e culturali che attirano turisti, il potenziamento dei servizi essenziali per una civiltà urbana, l’offerta e creazione di occupazione e lavoro (o’ lavoro invocato da tanti) fonte di dignità per singoli e famiglie.

Al di là del Sindaco e del politico con i loro ruoli e responsabilità, rimane il personaggio con un mondo ed un linguaggio evocativo non puramente strumentale alla mobilitazione ed attivazione civica, portatore di una visione di città e movimento che non si esaurisce nella retorica politica affascinante. E’ solo un miraggio, frutto della civiltà dell’immagine, o una visione da compiere?

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