Il PD sta deperendo, è abbandonato a se stesso, e il suo futuro desta preoccupazione. È quanto ha detto Massimo D’Alema, alla Festa dell’Unità di Firenze, ribadendo ancora una volta, in maniera più o meno esplicita, la sua distanza da Matteo Renzi. Come a dire che, se fosse dipeso da lui, ci avrebbe messo qualcun altro al suo posto. Per Massimo D’Alema, ex Presidente del Consiglio, bisogna provare a rimettere d’accordo tutta la base del partito, altrimenti si rischia di deludere ancora l’elettorato (come sostiene sia già accaduto, tanto da essere scesi nei sondaggi), e soprattutto, bisogna risolvere una volta per tutte la questione del Senato elettivo e del famigerato articolo 2, questione su cui i renziani e la minoranza sono lontani più che mai. Anche a Bersani, del resto, il ddl non piace così com’è, e anche lui ha qualcosa da dire sulla figura di Renzi come “uomo solo al comando”.
La simpatia di D’Alema, piuttosto, va ad alcuni esponenti della minoranza, o se vogliamo, di alcune correnti non esattamente pro Renzi. Ce ne sono molte, di queste correnti, all’interno del Partito Democratico. C’è la componente riformista di Speranza e Bersani, e c’è la minoranza dem di Gianni Cuperlo, quella che da tempo ormai invita alla discussione interna e tenta di limitare lo strapotere renziano. C’era una volta anche la corrente cosiddetta civatiana, che ormai ha perso la sua guida politica e morale, e ci sarebbe pure un’altra area guidata da Maurizio Martina, forse questa meno incisiva delle altre. Il problema è questo: se il partito sta deperendo, non è mica detto che sia tutta colpa di Renzi che perde colpi nei sondaggi.
Da una parte ci sono le innumerevoli scissioni interne, le tante frammentazioni che non di rado hanno condotto pure a qualche uscita volontaria dal partito. A chi giovano questi gruppi e gruppetti che, alla fin fine, non sono neanche in grado di far gioco di squadra? Quando si è trattato di votare la fiducia alla Camera quale decisione hanno preso? E Bersani, che si è sempre lamentato di come Renzi sia un uomo solo al comando, quando si doveva approvare il testo dell’Italicum e ha deciso di astenersi, è stato in grado di far valere la sua posizione? Lui come Rosy Bindi ed Enrico Letta, chi mai sono riusciti a coinvolgere?
Dall’altra parte, c’è lo stesso Renzi che dal canto suo non è un maestro nello scegliere le alleanze, e non soltanto con il suo partito. È pur vero che al momento potrebbe anche essere in grado di correre da solo la sua staffetta, ma sono le previsioni a lungo termine che generano perplessità. La stretta di mano con Berlusconi è durata meno di quanto si pensasse (e comunque non poteva essere altrimenti), e su alcune questioni i membri di Area popolare non sembrano disposti ad appoggiarlo. Se nel suo stesso partito aumentano gli attriti, non si sa come le riforme potranno ottenere l’approvazione in Parlamento. D’Alema ha ricordato che negli ultimi tempo, mentre un parto dell’elettorato di sinistra rimaneva sfiduciata, il PD conquistava degli alleati nel ceto politico, come Verdini e Cicchitto. Non sarebbero neanche questi gli alleati ideali, considerando i loro trascorsi neanche troppo remoti: insomma, non sono amicizie su cui investire negli anni.
Allora, D’Alema su chi punterebbe, dovendo scegliere un candidato ideale per questo PD che in meno di dieci anni dalla sua nascita ha già avuto cinque segretari e cinque presidenti tutti diversi (e in parte anche dimissionari)? Come si fa ad evitare che il PD deperisca se uno stuolo di politici e politicanti deve ancora alzare la mano per poter parlare, come si faceva a scuola tra insegnanti e alunni?