Officina delle idee

Di qui passa il futuro del Mezzogiorno

Nella consapevolezza delle tante, troppe cose che non vanno, tra sprechi antichi, mancanza di progettualità e una burocrazia locale, complice quella europea, che continua a frenare la spesa dei fondi strutturali piuttosto che velocizzarla.

Oggi, dunque, non andrà in scena soltanto il secondo tempo delle elezioni politiche del 24 febbraio dello scorso anno che si sono concluse senza un vincitore. Non si voterà solo per capire se l’avanzata di Grillo registrerà o meno una battuta d’arresto o se Renzi farà meglio di quanto è riuscito a fare Bersani. Altrettanto fuorviante è pensare che si misurerà unicamente la tenuta di Forza Italia dopo la condanna di Berlusconi che lo obbliga a rimanere a bordo campo. Le Europee saranno elezioni importanti soprattutto per capire quale dovrà essere il ruolo e il futuro dell’Unione, investita mai come in questo momento da un’ondata di populismo che rischia di spazzare via  per sempre il vento di Ventotene che ispirò il manifesto per “un’Europa libera e unità” scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Su una cosa i partiti paiono d’accordo: l’Ue di solo rigore è destinata a morire, ormai pressata da un esercito di ventisei milioni di disoccupati. Bisognerà quindi ripensare ruolo e funzioni, trasformandola da gendarme della moneta unica a propulsore di sviluppo. Gli stessi trattati firmati finora non potranno continuare ad essere considerati inconfutabili, ma per provare a mettere ordine nei rapporti di forza tra gli Stati è indispensabile inviare a Bruxelles una classe politica capace e consapevole della sfida che ha davanti. Sfida che investe in particolare il Mezzogiorno che dalla futura Commissione, sia essa a guida sociale o popolare, dovrà ottenere le risorse necessarie per tornare a competere con il resto d’Italia.

Troppe volte negli ultimi decenni abbiamo invece assistito alla staffetta Strasburgo e Parlamento di Roma. Politici parcheggiati in attesa di passare da un’aula all’altra con estrema disinvoltura.  Vecchie abitudini di una classe politica poco consapevole dei poteri esercitati nell’emiciclo francese dove non si parla solo di regolamenti per la pesca d’altura o di quote latte: se Pompei può ancora avere una speranza di salvezza lo deve unicamente ai fondi Ue, così come la realizzazione di gran parte delle infrastrutture di cui il Mezzogiorno ha ancora impellente bisogno di pendono esclusivamente dalle risorse comunitarie.

In attesa dell’Italicum e reduci dal Porcellum, questa tornata elettorale si celebra con i voti di preferenza, un’occasione per selezionare dal basso la classe dirigente senza più i nomi decisi nel chiuso delle segreterie dei partiti. E’ questa l’altra posta in gioco oggi, sempre che non vinca l’astensionismo: nel 1999, quando i paesi membri erano appena 9, i votanti furono quasi il 62%. Vent’anni dopo, con l’Europa a 15, erano scesi al 49,51% e nel 2009, con 27 paesi membri al 43%. Il Presidente della Repubblica Napolitano, il collega tedesco Gauck e quello polacco Bronis hanno lanciato l’ennesimo appello alla partecipazione: «Con il nostro voto possiamo davvero influire sull’evoluzione delle politiche europee», scrivono. Tentativo di contrastare il crescente sentimento anti-Ue che rischia di fare arretrare ogni singola regione d’Europa, il Mezzogiorno più di ogni altra.

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