L’inviolabilità del diritto allo studio è sancita dall’art. 34 della Costituzione italiana, che stabilisce, appunto, che la scuola è aperta a tutti, senza alcun riferimento alle condizioni personali dello studente che può quindi anche essere privato della libertà. Gli studenti degli istituti penitenziari non sono solo stranieri che necessitano di alfabetizzazione (nel 2018 hanno rappresentato circa il 50% degli studenti), ma anche giovani e adulti che compongono la percentuale della cosiddetta evasione scolastica e che hanno la possibilità in carcere di recuperare quel percorso di studi mai affrontato. In 30 istituti penitenziari è inoltre possibile frequentare corsi di studio universitario e quindi conseguire una laurea. L’istruzione è essenziale perché la pena assolva alla sua funzione rieducativa: l’articolo 17 dell’ordinamento penitenziario sancisce infatti la necessità della partecipazione della comunità esterna, e di soggetti pubblici e privati, per portare a compimento l’azione rieducativa e risocializzante di detenuti e internati. Se in condizioni normali tali enunciazioni di principio si scontrano spesso con la triste realtà e il disinteresse di innumerevoli direzioni degli istituti penitenziari, la crisi sanitaria legata al covid-19 ha visto crollare molte delle conquiste che in tale ambito si erano raggiunte.
Il Ministero dell’Istruzione, nell’ambito delle indicazioni fornite per l’istruzione degli adulti, ha sottolineato la necessità di favorire, in via straordinaria ed emergenziale, in tutte le situazioni ove ciò sia possibile, il diritto all’istruzione attraverso modalità di apprendimento a distanza anche per i frequentanti i percorsi di istruzione degli adulti presso gli istituti di prevenzione e pena, in accordo con le Direzioni degli istituti medesimi. Tuttavia, come segnalato dal Garante nazionale delle persone private della libertà, solo nel 20% degli istituti si è assicurata agli studenti la possibilità di non interrompere bruscamente l’anno scolastico attraverso la didattica a distanza. In molte carceri addirittura non è stato inviato neppure materiale cartaceo perché i reclusi potessero proseguire lo studio e laddove inviato, esso non è comunque in grado di sostituire le lezioni e il rapporto soprattutto umano che si crea con insegnanti e compagni di classe.
La rete delle scuole ristrette, che riunisce tutti i docenti operanti nelle carceri italiane, ha richiesto con una lettera al Dap maggiore attenzione al tema, e un’implementazione delle risorse per rispondere a quest’emergenza. I numeri degli studenti coinvolti sono molto alti: secondo il rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione gli iscritti dell’anno scolastico 2018 sono stati più di 20000, con una cospicua crescita rispetto all’anno precedente, e tutti loro rischiano di subire le ripercussioni dovute alla brusca interruzione dell’anno scolastico. Anche i numeri degli iscritti all’Università sono aumentati nell’ultimo anno, arrivando a quasi 800 studenti.
Tra le varie realtà sorte in questi anni va sicuramente segnalato il Polo universitario del carcere di Secondigliano dell’Università Federico II di Napoli, inaugurato due anni fa. Esso è secondo in Italia per numero di iscritti, con 67 studenti di cui 36 in regimi speciali, che si sommano agli 8 detenuti iscritti dell’Università Vanvitelli. Il polo universitario penitenziario campano si sta velocemente attivando perché il diritto allo studio torni ad essere garantito con nuove modalità e il Garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello ha deciso di effettuare con il suo ufficio una cospicua donazione per restituire ai detenuti l’opportunità formativa di cui hanno bisogno, ribadendo che la privazione della libertà non può in nessun caso implicare la compressione di altri diritti.
Prima in classifica è invece l’Università di Bologna con 74 iscritti lo scorso anno, ma sono molte altre le realtà in cui l’incontro tra amministrazioni penitenziarie e istituti universitari hanno prodotto ottimi frutti: l’Università di Milano (61 detenuti iscritti); Padova (64 di cui 7 in esecuzione penale esterna); Roma (con 59 detenuti studenti universitari).
Le modalità didattiche utilizzate durante quest’emergenza sono spesso risultate insufficienti: in molti istituti è stata assicurata solo una videochiamata settimanale con un rappresentante degli studenti o una saltuaria lezione che impediva quindi l’instaurazione di un percorso continuativo e fruttuoso. Il Ministero dell’Istruzione, in collaborazione con la RAI ha provveduto all’istituzione di una vera e propria aula multimediale per gli studenti iscritti ai CPIA – Centri provinciali per l’istruzione degli adulti- attraverso cui si potrà seguire un percorso didattico.
Tuttavia è da segnalare che in quasi nessuno degli istituti penitenziari italiani si permette ai detenuti di utilizzare Internet e le nuove tecnologie, nonostante numerosi studi dimostrino la loro efficacia nel percorso di rieducazione.
Con l’arrivo della seconda fase dell’emergenza sanitaria sarebbe bene rimodulare l’organizzazione riprendendo però le lezioni in presenza con il necessario contatto umano di cui gli studenti hanno bisogno. Si tratta di una sfida ambiziosa e sono ancora molti i passi in avanti da fare: le affermazioni normative sul tema non sono imperative e tali da configurare un’omissione in capo agli uffici dell’amministrazione penitenziaria in caso di mancata applicazione, dunque bisognerà innanzitutto sperare nelle buone pratiche delle direzioni e nella positiva influenza dei vari Garanti impegnati sul territorio. Il diritto allo studio va salvaguardato soprattutto per offrire un’opportunità di crescita e formazione a chi spesso quando era libero non l’ha avuta.
A cura di Giusy Santella