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DON ANGELO BERSELLI: “DOBBIAMO IMPARARE DALLA CAMORRA. LE ISTITUZIONI NON BRILLANO CERTAMENTE PER LA LORO PRESENZA SUL TERRITORIO”

A Forcella l’unica cosa che funziona è la camorra. La mia è certamente una provocazione. Parliamo però di una cosa assai banale: tutti i camorristi hanno le case munite di telecamera di sorveglianza funzionanti, in quartieri come Forcella o la Sanità, le telecamere che ci sono non funzionano“. Parole e musica di don Angelo Berselli, parroco di Forcella, in virtù degli ultimi fatti di sangue accaduti nel quartiere a Napoli, non da ultimo, la morte del giovane ragazzo Mikol Russo.

E stiamo parlando della cosa più banale – ha proseguito il sacerdote – . Di sicuro è molto più facile installare una telecamera che mettere un’altra pattuglia per il controllo del territorio. La telecamera, infatti, ti esenta anche dall’onere della denuncia, visto che non c’è bisogno di parlare. Le cose le vedi tu ed io posso tranquillo. Elemento banale ma significativo” .

Recentemente, il questore di Napoli ha dichiarato che a Napoli c’è omertà ed indignazione ad orologeria. A riguardo, don Angelo è perentorio.

“Se lo stato prima di tutto, non fa il proprio dovere, perchè pretende che lo debba fare il cittadino? Ricordo a tutti che Giovanni Falcone affermava che “il cittadino non deve fare l’eroe se lo stato è efficiente”….. Non c’è altro da aggiungere……..”.

Ma bastano solo le telecamere, dunque, per risolvere il problema legato alla criminalità organizzata? Anche su questo, don Angelo non ha avuto dubbi.

Le telecamere da sole non bastano a risolvere la questione, ma sono comunque importanti, perchè sono occhi che osservano tutto e non temono minacce. Senza dubbio, il lavoro di indagine,  ha comunque portato a risultati importanti. Il problema, però, non è la camorra. La camorra è il frutto più elaborato e maledetto di un albero che porta il nome di violenza. Questa violenza si nutre di quelle realtà quotidiane che ognuno di noi respira. E’ violenza se mi tagli la strada con la macchina, è violenza se non mi dai la precedenza, è violenza se mi intralci il cammino, è violenza se non rispetti la mia dignità. Questa violenza, purtroppo, la viviamo, la respiriamo e la mettiamo in circolo, me compreso. Basti pensare che scendo tranquillo di casa per andare in parrocchia e quando arrivo a destinazione, sono già nervoso ed arrabbiato, perchè ho dovuto scansare quattro motorini che andavano controsenso, e come minino, ho dovuto aspettare persone intente a fare i comodi loro. Tutto ciò, fa sì che non accolga le persona con la gentilezza che meritano. E’ un esempio banale anche questo, ma questo è il vero problema. Le camorre fondamentalmente sono due. Una è quella che uccide, estorce, spaccia e fa, a suo avviso, il proprio dovere, ma quello non è un problema della Chiesa ma delle forze dell’ordine. C’è poi la mentalità camorristica, che è quella che alimenta questa vase. E quella che ci fa sentire più furbi, più capaci, che ci fa vivere borderline. A quella mentalità, dobbiamo porre rimedio noi come istituzioni: chiesa, scuola, associazionismo e quant’altro”.

E proprio in questo senso, la Chiesa e la scuola possono e devono fare senz’altro di più……

“Assolutamente devono fare di più. Non però nella denuncia del soggetto, ma nel togliere il nutrimento al frutto della camorra. che è appunto quest’atteggiamento di furbizia, di violenza quotidiana e banale. Io devo educare alla pace. Se educo alla pace ed al rispetto, inevitabilmente con il tempo, il frutto dovrà per forza marcire. Io devo pensare alle radici, le forze dell’ordine devono pensare al frutto già in azione. Quindi questo significa che va fatto un lavoro di rete, dove ognuno deve fare il proprio dovere, e chi non fa il proprio dovere, rovina anche il lavoro degli altri. Semplice!”. 

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