Quello del carcere è un tema che riguarda da vicino la Regione Campania che conta 17 istituti penitenziari e 6856 detenuti per una capienza regolamentare di 6067. 344 sono donne e gli stranieri sono 838.
Per liberarci dalla necessità del carcere è opportuno ascoltare la voce di chi opera a stretto contatto con i detenuti fuori dal carcere. Uno di questi è Don Franco Esposito, cappellano del carcere di Poggioreale che si occupa della pastorale carceraria di Napoli ed è presidente dell’Associazione Liberi di Volare.
Don Franco è stato ospite di Samuele Ciambriello alla trasmissione “Dentro i fatti” in onda ogni lunedì su Radio Club 91.
Don Franco, Lei spesso dice che una persona entra a Poggioreale perché ha commesso un reato e rischia di uscire come uno che ha subito un reato. Come mai?
Certo, il carcere prende in custodia una persona perché questa prenda coscienza del male commesso e faccia nascere in lei il bisogno di una vita vissuta nella legalità e nel bene. E’ proprio questo che in fin dei conti il carcere non fa perché con tutte le sue strutture innovative, non risponde a questo dettame costituzionale. Il detenuto subisce un reato perché uscirà dal carcere e troverà una società chiusa all’accoglienza.
Cosa fate come Associazione Liberi di Volare?
Innanzitutto il volontariato è presente nelle carceri della Campania e in particolare a Poggioreale per fortificare la presenza della comunità esterna e creare questo ponte che deve far sì che dall’altra parte ci sia una società sensibilizzata all’accoglienza dei detenuti. Il volontario guarda il detenuto come persona e non il reato che egli ha commesso. Se guardiamo al reato facciamo pagare la pena al detenuto prima durante e dopo la detenzione.
Lei rappresenta una speranza per i detenuti, alcuni trascorrono molto tempo alla Sua Associazione.
Sì, abbiamo realizzato, grazie anche al supporto del Cardinale, la Pastorale Carceraria dove vengono accolti attualmente oltre trenta detenuti in affido ai servizi sociali dove fanno vari laboratori e cercano di vivere in una realtà umana e comunitaria, dove imparano a prendere coscienza del male e a iniziare a vivere un desiderio di riparazione.
Quindi il recupero di questi soggetti è possibile?
Più che recupero, direi che è necessario far venir fuori la parte positiva di queste persone.
In merito alla chiusura degli OPG le istituzioni hanno risposto che saranno istituite sezioni di psichiatriche all’interno degli istituti di pena. Cosa ne pensa?
Si tratta di una risposta ipocrita che continua a creare il male in chi ha già subito. Bisognava preparare all’esterno del carcere quelle realtà che potessero servire a queste persone per essere curate. Queste persone devono essere dimesse dal carcere e inserite in strutture umane.
Oggi si può iniziare a guardare ad un futuro in cui la pena si possa espiare al di fuori delle strutture carcerarie, creando realtà di accoglienza dove i detenuti possano iniziare un cammino. La “giustizia riparativa” è un argomento che va sensibilizzato.
Poiché si è ridotto il numero di detenuti anche grazie alla legge sulle tossico dipendenze, non sarebbe opportuno valutare questa strada?
Certo, dobbiamo sensibilizzare le opinioni pubbliche e le istituzioni ad un superamento del carcere. Per i tossicodipendenti, extracomunitari e realtà minori è necessario creare strutture territoriali che siano realtà umane. Il detenuto deve incontrare la persona con cui ha creato questo male, solo nell’incontro ci può essere la vittoria sul male. Anche la vittima deve diventare protagonista.