Ieri sera, di ritorno da un assemblea, un mio confratello a cena mi ha comunicato che papa Francesco nel volo di ritorno dalla Svezia alla domanda di un giornalista che chiedeva se era irrealistico pensare a donne prete nella chiesa cattolica ha riconfermato che “L’ultima parola è chiara e l’ha data Giovanni Paolo II e questa rimane” (Repubblica, 2 novembre 2016, p.16), cioè per sempre. Aggiungendo, per consolazione o meglio convinzione, che le donne possono fare tante cose nella Chiesa meglio degli uomini, anche nel campo della riflessione dogmatica. Non dico che questa reiterata affermazione di esclusione delle donne dal sacerdozio mi abbia intossicato la cena, o quasi, anche se ne chiarisce il fondamento in una pronuncia di Giovanni Paolo II ritenuta immodificabile, anche se non si tratta di verità di fede.
Nella celebrazione del cinquecentesimo della Riforma a Lund in Svezia, dove nella confessione luterana vige il sacerdozio femminile compreso l’episcopato, avrà certo incontrato e stretto la mano alla donna arcivescovo della Cattedrale, eppure non è cascato il mondo, e si conserva la fede cristiana secondo questa confessione. Un evento ecumenico importante questa celebrazione di incontro e dialogo nella Svezia luterana che mantiene ferma non un’ affermazione dogmatica o verità di fede, ma una contrarietà al sacerdozio delle donne nella Chiesa cattolica romana secondo una pronunzia pontificia.
Eppure c’è qualcosa che non quadra in questa posizione anche ad una mentalità cristiana in questo XXI secolo che vive nel presente e non per l’eternità, consapevoli che fa parte di una costruzione ecclesiastica di dottrine, ruoli, poteri (cioè divisione del lavoro religioso nel campo religioso) consolidatasi in circa due millenni di quella che si chiamava l’era cristiana. Non per semplificare la questione, sul piano del sentire, recitando il rosario prima di andare a letto riflettevo che la donna Maria è proclamata benedetta per il frutto del suo seno, cioè aveva portato e fatto crescere nel suo ventre il corpo umano del figlio di Dio, cioè aveva albergato il divino, come ogni donna nella comunione riceve il corpo di Cristo. Ed allora cosa impedisce che una donna possa presiedere la celebrazione della cena del Signore che fa memoria del corpo ed il sangue donato del Figlio di Dio. Si nega l’accesso al sacro o al divino, che è già avvenuto in Maria e nell’amore coniugale simbolicamente ma non solo specchio e vaso del divino nell’esperienza umana, anche secondo l’ Amoris laetitia?
Di fronte alla facile obiezione, per non cambiare e conservare il privilegio maschile, che il sacerdozio delle donne non è richiesto (forse in afone ed anemiche comunità di fedeli), il sacerdozio femminile introdotto nella confessione anglicana e nelle altre confessioni protestanti nei paesi nord-atlantici che interessa centinaia di milioni di credenti, dimostra che è stata accolta una richiesta, una aspettativa delle comunità cristiane in riferimento ad una più generale crescita culturale ed al riconoscimento della parità o meglio dignità di genere.
Viene da dire, non per pietismo che mi è estraneo, “Salve regina, madre di misericordia” sciogli le rigidità negli uomini di chiesa ma non solo, che impediscono l’accesso delle donne a questo servizio nella comunità cristiana che lo dovrebbe invocare. O per dirla alla Benigni, ci sarà giorno in cui uno young pope o un bianco di anni pontefice spuntando dalla loggia di S.Pietro dirà : <<Cari fedeli, sapete cos’è c’è, d’ora in poi le porte sono aperte alle vocazioni delle donne a condividere il servizio sacerdotale per il bene dei fedeli. Il tempo è compiuto>>. Così sia !