In questo articolo portiamo a conoscenza dei nostri lettori due pregevoli dipinti appartenenti ad una collezione romana, una delle più importanti d’Italia.
Il primo, raffigurante I Quattro evangelisti(fig. 1) è stato visionato in passato dal compianto Maurizio Marini, che lo assegnò ad un fiammingo attivo a Napoli nei primi decenni del Seicento, parere confermato da Vittorio Sgarbi, che ha ammirato il quadro di recente.
Senza ombra di dubbio l’opera appartiene alla produzione di Hendrick Van Somer, un pittore al quale in passato ho dedicato più di uno scritto, a tal punto che se digitiamo su Google “Hendrick van Somer”, compaiono oltre 10 000 citazioni e la prima si riferisce ad un mio articolo del 2009: Hendrix van Somer due pittori in uno, nel quale sottolineavo la contemporanea presenza a Napoli di due artisti con uguale nome e cognome, uno, figlio di Barent ed un secondo, figlio di Gil. Il primo nato nel 1615 e morto ad Amsterdam nel 1684, il secondo, nato nel 1607 e scomparso forse durante la peste del 1656, presente in città dal 1624.
Al primo la critica assegna il Battesimo di Cristo, eseguito per la chiesa della Sapienza nel 1641 ed un Martirio di San Bartolomeo, gia in collezione Astarita a Napoli.
Per il secondo Bologna e Spinosa hanno ricostruito un percorso artistico più articolato con dipinti che, dopo un periodo di osservanza riberiana, sfociano nel nuovo clima pittoricistico di matrice neoveneta che maturò a Napoli intorno alla metà degli anni Trenta, un momento in cui cominciò a prevalere il cromatismo sul luminismo. La sua pittura, che tradisce l’origine fiamminga e la dimestichezza con i caravaggisti nordici, è caratterizzata dal viraggio della luce verso una pacatezza dei colori ed un contenuto iconografico severo.
Le opere che possono essergli attribuite sono oramai numerose dal Sant’Onofrio della collezione Cicogna di Milano alla Guarigione di Tobia del museo del Banco di Napoli, dall’Estasi sul tamburo, già presso l’antiquario Lucano di Roma alla Decollazione del Battista della collezione Bernardini di Padova.
In seguito il Van Somer impreziosisce la sua tavolozza alla ricerca di esiti sempre più spinti di raffinatezza formale ed è il periodo del Sansone e Dalila già nella raccolta dei principi Firrao, del Loth e le figlie già presso Heim a Londra, del David con la testa di Golia, siglato di una raccolta romana e dello stupendo Venere ed Adone di una collezione napoletana. Del 1635 è la Carità già nella collezione Bosco, siglata, mentre le sue ultime opere sono il San Girolamo della Trafalgar Galleries di Londra e della Galleria Borghese di Roma, rispettivamente siglato 1651 e firmato 1652.
Di recente Giuseppe Porzio ha pubblicato documenti e notizie sul pittore ed ha incrementato il suo catalogo con dipinti di qualità eccelsa, che forniscono oramai l’immagine di un artista di grande valore, anche se ancora poco noto.
In questo breve contributo intendiamo presentare una tela per la quale l’attribuzione al Van Somer è più che certa, con alcune figure che ripropongono fisionomie presenti in altre opere documentate dell’artista, mentre l’elegante tappeto rosso, presente al centro della composizione, è lo stesso che compare nel Loth e le figlie(fig. 2), già presso la galleria Heim di Londra. Ben rappresentati i simboli iconografici degli evangesti, in particolare il bovino in primo piano, dalle corna eloquenti, per passare poi all’aquila ed al leone.
Concludiamo con una doverosa precisazione, scaturita dall’esame di alcuni documenti: la dizione precisa del cognome è De Somer e non van Somer, come fino ad oggi indicato sui principali contributi sull’artista da Bologna a Spinosa.
Il secondo dipinto che presentiamo raffigura le tre Marie(fig. 3) una iconografia nella quale si rappresentano le tre donne che seguirono Gesù durante il triduo pasquale; tradizionalmente identificate come: Maria (madre di Gesù), Maria Maddalena e Maria di Cleofa. La tela va attribuita a nostro parere al virtuoso pennello di Luca Giordano in collaborazione con uno dei suoi allievi più bravi: Giuseppe Simonelli e va collocata cronologicamente agli ultimi decenni del Seicento.
Il problema delle ampie collaborazioni nelle opere giordanesche è delicato argomento che la critica ha esaminato più volte sotto varie angolazioni. È impresa ardua infatti riconoscere una o più mani nelle tele autografe, ancor più nei vasti cicli decorativi. Oggi, riusciamo a discernere alcuni allievi più famosi, a lungo sommersi nella sterminata produzione di Luca e presto, agli occhi più smaliziati, sarà possibile distinguere il pennello di un collaboratore nel rifinire dettagli, più o meno secondari, in un’opera sicuramente attribuibile al Giordano.
Parlare di Giordano è un’offesa ai nostri colti lettori, che ben conoscono l’opera del grande pittore per cui ci limiteremo a fornire notizie sul suo collaboratore: Giuseppe Simonelli(? 1650 – 1710), che il De Dominici ricorda come imitatore del colorito scuro del maestro e del quale molti forestieri compravano le opere scambiandole per autografi giordaneschi.
Il suo spazio vitale crebbe, come per altri allievi della bottega, con il trasferimento in Spagna di Luca, perché fu incaricato di completare alcuni lavori di un certo prestigio come la cupola di Donnaromita e gli affreschi della sacrestia di Santa Brigida. In queste imprese egli seguì pedissequamente lo stile del maestro, servendosi talune volte di bozzetti da lui lasciati.
Nei dipinti autonomi da lui firmati egli mette in mostra la tendenza a perseguire le tonalità scure del maestro, trascurando la produzione più chiara del decennio precedente; viene ritenuto dal De Dominici di qualità ben più alta del Miglionico, rispetto al quale possiede una dote di «miglior disegno». Spesso anche nella sua produzione da cavalletto si serve di prototipi e di disegni del Giordano.
Tra le sue opere degne di nota ricordiamo: Ecce homo di collezione privata romana e la Predica del Battista della Galleria Nazionale d’Irlanda; le Storie di Santa Cecilia nella chiesa di Santa Maria di Montesanto; il Passaggio del mar Rosso nella controfacciata della chiesa dei SS. Marcellino e Festo e gli affreschi nella cappella di San Giacomo della Chiesa di Santa Caterina a Formiello.
Alcune fonti riferiscono che il Simonelli si recò in Spagna al seguito del Giordano ed a conferma di tale ipotesi il Perez Sanchez ha da tempo elencato un gruppo di tele, alcune firmate, conservate presso collezioni private iberiche ab antico. Inoltre molti dipinti spagnoli assegnati al Giordano potrebbero, per evidenti motivi stilistici, essere trasferiti nel catalogo dell’allievo. Nello stesso tempo numerosi lavori dell’artista sono documentati a Napoli negli anni del soggiorno a Madrid di Luca, per cui è più ragionevole supporre che la notorietà del pittore era notevole tanto da avere estimatori che gli chiedevano quadri da spedire, piuttosto che ipotizzare un viaggio in Spagna, anche se limitato nel tempo, del Simonelli.
Quanto più la critica riesce a ricostruirne il profilo artistico, attraverso il rinvenimento di quadri firmati o dallo stile inequivocabile, tanto più il catalogo del Giordano si alleggerisce di dubbie assegnazioni. Questo turnover attributivo si è attuato nel campo del disegno grazie al Chiarini, che identificando per la prima volta alcuni fogli certi del Simonelli, conservati agli Uffizi, ha permesso di sfoltire il corpus grafico del Giordano di tanti esemplari connotati dai chiari caratteri distintivi dell’allievo.