Si intitola Ridendo e scherzando il film con cui Ettore Scola ha detto addio al cinema e al suo pubblico. Un documentario con cui le sue figlie, Paola e Silvia, lo hanno restituito nella sua complessità di regista, artista e padre. E ridendo e scherzando il regista, morto ieri all’età di 84 anni nel reparto di cardiochirurgia del Policlinico di Roma, ha attraversato più di cinquant’anni di cinema e storia italiana. Con lui se ne va l’ultimo grande maestro della commedia italiana. Con il suo cinema ha raccontato l’Italia che si riscattava dal fascismo e cercava di dimenticare la guerra, con un linguaggio profondo ma lieve ha saputo tratteggiare tutti i tipi di italiani, dagli intellettuali di sinistra che si davano convegno sulle “terrazze” ai commercianti in competizione sleale, ha dato voce al radiocronista licenziato e mandato al confino perché omosessuale e alla casalinga schiacciata dalla prepotenza del marito fascista, i genitori che passavano la notte davanti alle scuole e i militanti comunisti in crisi di identità e di fedeltà. Una carriera e una vita nel segno dell’impegno civile, politico e sociale che lo portò tra l’altro a far parte del governo ombra del Partito Comunista Italiano, nel 1989, con la delega ai Beni Culturali.
Messaggi di cordoglio sono giunti anche dal mondo politico campano, con la presidente del consiglio regionale, Rosetta D’Amelio, che ha voluto ricordare il grande regista scomparso.
“Sono addolorata – ha dichiarato il presidente del consiglio regionale – . Esprimo, a nome di tutto il Consiglio regionale della Campania, profondo cordoglio per la scomparsa di Ettore Scola, maestro della cinematografia mondiale, intellettuale di sinistra e figlio dell’Irpinia. Mancherà a tutti noi la sua forte coscienza politica che, con i suoi capolavori, aveva trasmesso a tante generazioni italiane”.
“Ho avuto il piacere di conoscere Scola – ha ricordato la D’Amelio – e averlo mio ospite a Lioni. Era nato a Trevico, in provincia di Avellino e quel legame con la sua terra, che non abbandonerà mai, lo aveva scolpito nella pellicola con il docu-film del ’72 “Trevico-Torino: viaggio nel Fiat-Nam” in cui aveva raccontato la classe operaia di quegli anni e l’industrializzazione, anticipando quella capacità narrativa e critica della società italiana che ritornerà nei suoi capolavori, dote rara di cui sentiremo la mancanza”.