In Italia è possibile conciliare maternità e politica? I primi anni ma soprattutto i primi mesi di vita del nascituro richiedono da parte della madre una particolare attenzione che un forte impegno politico non sempre consente. Non a caso infatti Giorgia Meloni in un primo tempo rifiutò la candidatura a sindaco di Roma perché disse espressivamente che voleva dedicarsi a fare la mamma, poi cambiò idea dopo le pressioni delle forze politiche che la sostenevano, così a Guido Bertolaso, suo concorrente diretto alla candidatura a sindaco che asseriva che “la Meloni deve fare solo la mamma, deve gestire questa pagina della sua vita. Non vedo perché qualcuno dovrebbe costringerla a fare una campagna elettorale feroce e, mentre allatta, ad occuparsi di buche, sporcizia…” rispose “non voglio polemizzare, voglio solo dire con garbo e orgoglio a Guido Bertolaso che sarò mamma comunque e che spero di essere un’ottima mamma, come lo sono tutte quelle donne che tra mille difficoltà e spesso in condizioni molto più difficili della mia riescono a conciliare impegni professionali e maternità. Lo dico soprattutto per rispetto loro”.
E anche Virginia Raggi, che poi è stata eletta sindaco della capitale è sulla stessa linea: “certo che posso fare la mamma a tempo pieno, come tutte le donne che lavorano farò i salti mortali”, spesso infatti durante le assemblee consiliari il neo sindaco ha portato con se il figlio di soli sei anni. Ma non sempre è facile coniugare attività politica e maternità, a Milano infatti una consigliera comunale, Anita Pirovano, è stata duramente attaccata dai suoi colleghi leghisti che hanno gridato “via i neonati dall’aula, un’aula consiliare non è una nursery”.
E invece proprio una nursery è stata creata all’interno della sede della terza municipalità di Napoli dal presidente Ivo Poggiani, per permettere alla consigliera Deborah Piemontese di allattare il proprio figlio. Dunque è possibile in pieno ventunesimo secolo essere contemporaneamente una buona mamma e una buona politica senza trascurare nessuno dei due impegni?
di Raimondo E. Casaceli