di Massimo Congiu*
Probabilmente quello di non subire la tortura o qualsiasi tipo di trattamento disumano e mortificante è il diritto più tenacemente tutelato dalla giurisprudenza internazionale. I governi dei paesi che hanno ratificato la Convenzione dell’ONU contro la tortura, risalente al 1984, hanno quindi il dovere di considerare reato la medesima e perseguirla. Devono
dar luogo a indagini scrupolose, approfondite e imparziali, a fronte di denunce di tortura, e sanzionare i responsabili una volta accertate le loro colpe.
Anche se a tutt’oggi è estremamente difficile, se non impossibile, fare un resoconto globale e statistico in termini assoluti sul ricorso alla tortura nel mondo, vi sono abbastanza elementi per affermare che quest’ultima continua ad essere largamente praticata a tutte le latitudini. Purtroppo, secondo Amnesty International (AI), spesso i governi negano più che cooperare con le istituzioni internazionali nella lotta alla tortura. Spesso nascondono i casi di trattamento disumano a danno di ristretti e di persone inermi e
tendono a non assumersi alcuna responsabilità a fronte di tali episodi. Sovente, sempre secondo AI, non si impegnano abbastanza per svolgere indagini e perseguire i responsabili. Da quanto esposto si comprende che ancora resta molto da fare per contrastare questa pratica aberrante, e ciò vale per il Nord e per il Sud del Mondo, per l’Occidente e per l’Oriente.
Per una più efficace lotta alla tortura è bene comprendere che la stessa può assumere diverse forme; tutte, comunque, sono sinonimo di aggressione, violenza, abuso ai danni di persone che non sono in grado di difendersi.
Riassumendo la definizione ufficiale contenuta nella Convenzione delle Nazioni Unite, possiamo dire che si ha tortura quando qualcuno infligge intenzionalmente dolore e sofferenze di vario genere ad altri per estorcere loro informazioni, confessioni, per intimidirli, costringerli a qualcosa, e annullare la loro volontà e dignità umana. A essa viene fatto ricorso per rappresaglia, per disprezzo, principalmente dei diritti umani.
Tecnicamente può essere soprattutto fisica o psicologica ma occorre precisare che questi due aspetti sono fortemente connessi. La persona che è in mano ai torturatori è in uno stato di completo assoggettamento e di vulnerabilità.
Nelle stanze della tortura può succedere di tutto, e il peggio è che tutto accade nell’ombra, spesso in un contesto di impunità a beneficio dei torturatori. Un nome: quello del povero Giulio Regeni finito in mano ad aguzzini professionisti e morto in giovane età dopo giornate intere di agonia. Regeni, si diceva, ma di nomi di persone torturate ce ne sono tanti, solo che noi non li conosciamo. Pensiamo alle persone imprigionate e maltrattate per motivi politici, religiosi, pensiamo alla situazione penosa del grosso dei migranti, gente
indesiderata alla quale certi governi non riconoscono alcun diritto.
E come vanno le cose in Italia, la cui Costituzione prevede il divieto di tortura all’articolo 13? Non benissimo, a quanto pare. Su questo diversi organismi internazionali attivi in tale ambito hanno qualcosa da dire, partendo dalla considerazione che la tortura si manifesta in diverse articolazioni e sfumature. In anni recenti Amnesty International ha denunciato vari casi di abusi e di condotte illecite da parte di agenti di polizia nei confronti di dimostranti impegnati in proteste pubbliche, in diversi paesi europei. Tra essi l’Italia. Potremmo
andare avanti menzionando i soprusi alla Diaz e a Bolzaneto, durante il tragico G8 di Genova insanguinato dalla morte di Carlo Giuliani. Così si parlò, a fatti avvenuti, di sospensione del diritto internazionale.
Potremmo poi spaziare e contemplare altri casi e contesti e riferirci, ad esempio, alla vicenda di Stefano Cucchi.
Stringiamo l’inquadratura e parliamo della Campania il cui sistema carcerario è caratterizzato da fenomeni di sovraffollamento tuttora irrisolti che contribuiscono ad acuire tensioni e situazioni di grave disagio a danno di detenuti e agenti di Polizia Penitenziaria. Pensiamo alla vicenda delle torture e delle violenze nel carcere di santa Maria Capua Vetere denunciate dal garante campano dei detenuti Samuele Ciambriello. I filmati della mattanza di Stato poi le hanno confermate e ci hanno indignati. Il Garante Regionale dei Detenuti Samuele Ciambriello ha lanciato un appello alle istituzioni e all’opinione pubblica contro l’indifferenza nei confronti di questa pratica aberrante che, come già precisato, si presenta in diverse forme. Ciambriello menziona giustamente spesso anche i trattamenti sanitari obbligatori e quanti li subiscono senza potervisi opporre, sottolinea il logorio subito dai detenuti affetti da problemi psichiatrici che attendono a lungo un trasferimento alla REMS che non arriva mai e si riferisce alla condizione di vulnerabilità della maggior parte degli immigrati.
La tortura è assenza totale di diritti, la tortura è pressione psicologica anche se non inflitta direttamente e volutamente: pensiamo ad esempio agli estenuanti tempi della nostra giustizia e al logorio di chi è in attesa di un processo. Anche nel paese di Cesare Beccaria si impone una riflessione profonda che non deve essere circoscritta al solo 26 giugno, Giornata Mondiale contro la Tortura.
Il livello dell’impegno profuso sul piano istituzionale e dell’opinione pubblica contro questo crimine è la misura della nostra voglia di civiltà.
L’indifferenza è e sarà sempre la migliore alleata del sopruso. Non dimentichiamolo.
* Osservatorio regionale sulla detenzione