di Marco Puglia*
Quando mi viene chiesto cosa significhi per me svolgere le funzioni di Magistrato di Sorveglianza, la prima reazione che solitamente avverto è quella di un leggero smarrimento.
Ai miei occhi, la Sorveglianza rappresenta un universo così sconfinato che in me è perenne il timore di non riuscire ad illustrarne tutti i pianeti, tutte le galassie, anche le più nascoste.
Quella del Magistrato di Sorveglianza, checchè se ne possa pensare, non è una funzione facile.
Ed invero, anche se può sembrare paradossale, trattandosi di un compito dettato dalla Costituzione, esso è circondato da un inaspettato pregiudizio anche da parte dei cd. tecnici del diritto.
Spesso il Magistrato di Sorveglianza non solo non vede riconoscersi la sua centralità, ma viene ingiustamente accusato di non esercitare un potere giurisdizionale in senso stretto attesa la sua necessaria vicinanza con coloro che dalle sue decisioni vengono attinti.
E questo atteggiamento mi è stato chiaro sin dal momento in cui, da poco superato il concorso, i miei interlocutori (compresi alcuni miei colleghi) storcevano il naso e non riuscivano a celare la delusione alla risposta “Sarò un Magistrato di Sorveglianza”, quando mi chiedevano di cosa avessi scelto di occuparmi.
Si perché quella di fare, anzi di essere un Magistrato di Sorveglianza è stata una scelta. Una scelta che rifarei altre migliaia di volte.
Ma del resto, il pregiudizio a me non ha mai spaventato e ci sono, per dire, abituato.
Vengo da un quartiere difficile di Napoli e sin da ragazzino mi sono “allenato” a leggere, gestire e superare il pregiudizio che appariva sul volto e nelle parole di coloro i quali sentivano da me pronunciato il nome del luogo così “famigerato” della mia provenienza.
Lo stesso accade, oggi, con la funzione che ho scelto, vista da molti come “figlia di un dio minore”: in effetti essa è priva del luccicante clamore mediatico che solitamente avvolge la figura del pubblico ministero e della scia di solennità che invece accompagna il giudice che assolve o condanna.
Eppure non dovrebbe essere così.
Costruiamo tribunali e carceri, celebriamo processi e investiamo denaro per un unico obiettivo: ristabilire la giustizia. E questo fine non può che passare anche e soprattutto attraverso l’esecuzione della pena su cui vigila il Magistrato di Sorveglianza.
È la Costituzione con il suo poderoso articolo 27 a dirci che deve essere così, ad avvertirci che la pena, sempre e comunque, deve mirare alla risocializzazione, deve essere opportunità e mai vendetta perché uno Stato che si vendica è debole ed impaurito.
Uno Stato che si eleva oltre le passioni e il rancore è uno Stato libero, forte e coraggioso.
Negli scorsi giorni si è fatto un gran parlare di scarcerazioni di cd. capi clan ed i Magistrati di Sorveglianza sono stati oggetto di una vera e propria violenta campagna mediatica volta svilire ed offendere il loro operato.
Pochi hanno capito la delicatezza del nostro ruolo incastrato tra la necessità di tutela della collettività e quella di presidiare, tra l’altro, la salute dei soggetti ristretti che, solo per la loro condizione detentiva, non possono veder ingiustamente compromesso tale fondamentale diritto.
E tale compito è a noi affidato trasversalmente nei confronti di qualsiasi categoria di detenuto e di qualsiasi detenuto, anche se si sia macchiato dei più odiosi reati.
Ed invero, la forza della legalità risiede proprio in questo: rimanere sempre uguale a se stessa, inalterata, austera ed umana, immobile ma fluida con lo sguardo alto rivolto alla giustizia e non ricurvo e miope verso il dettaglio.
Solo guardando ai Principi su cui riposa la Democrazia, sarà possibile, invero, comprendere le singole istanze di giustizia.
Il Magistrato di Sorveglianza è tenuto ad emanciparsi dal tumulto della piazza onde evitare di vestire i panni di un novello Ponzio Pilato; deve farsi carico, come la legge vuole, sulle sue spalle delle responsabilità delle scelte adottate e “conquistate”.
Ma un ruolo così difficile ed, oggi più che mai, compromesso, non può e non deve essere svilito soprattutto perché la tutela dei soggetti detenuti quasi impone al Magistrato di Sorveglianza di andare controcorrente, di non cavalcare la perenne onda giustizialista che attraversa il Paese, imprimendo con forza alle proprie decisioni il volto della Giustizia.
E perché ciò accada è necessario che i cittadini rendano a queste donne e questi uomini nelle cui mani è posato un compito così gravoso pieno sostegno e soprattutto riconoscano massima fiducia perché essa è ciò di cui oggi abbiamo bisogno.
Ed a tal proposito mi sovvengono le parole di Pietro Calamandrei: “Per trovare la Giustizia bisogna essere fedeli. Essa, come tutte le divinità, si manifesta solo a chi ci crede.”
Solo così, con la massima fiducia, la Giustizia che assume il volto della Sorveglianza potrà manifestarsi, soprattutto in luoghi remoti e scuri come il carcere dove, a volte, così remota sembra la sua immagine.
*Magistrato di Sorveglianza