Il 15 agosto, nel silenzio generale, dopo tanti fumogeni di polemiche pretestuose e legittime delusioni,la finestra per la regolarizzazione degli immigrati. Si è conclusa la procedura di regolarizzazione dei rapporti di lavoro avviata lo scorso 1 giugno per agricoltura, lavoro domestico e assistenza alla persona: 207.542 le domande ricevute dal portale del ministero dell’Interno, in prevalenza da colf e badanti (85%); il resto ha riguardato il lavoro subordinato. La Lombardia è la regione da cui sono state inviate il maggior numero di richieste per il settore del lavoro domestico e di assistenza alla persona (47.357) mentre al primo posto per il lavoro subordinato si trova la Campania (6.962). Si tratta di un numero di domande di regolarizzazione non distante da quelle previste nella relazione tecnica del decreto rilancio, che ipotizzava 220 mila: 176 mila presentate dal datore di lavoro per favorire l’emersione del lavoro nero e 44 mila quelle attivate da cittadini stranieri con permesso di soggiorno scaduto.
Dati che hanno alimentato giudizi drastici,certo ancora ombre, ma tanta luce in più, sicuramente.Sostenere che la sanatoria è fallita perché non ha legalizzato i 600mila immigrati irregolari conteggiati da stime tanto enfatiche quanto fragili, è dunque poco sensato. Certo c’era il limite,difficilmente giustificabile di ammettere solo solo i lavoratori di alcuni settori,però si parla molto di legalità in un tempo in cui troppo spesso è oltraggiata; la si invoca continuamente e, nonostante tutto, non si ricolloca la persona umana e la sua dignità al centro del sistema. Bisognava osare di più. In questo periodo di presenza irregolare, di “invisibilità, gli immigrati hanno potuto contare soprattutto sull’aiuto degli italiani, delle organizzazioni del privato sociale(associazioni, sportelli, servizi..), delle parrochhie, delle Caritas, per affrontare i diversi bisogni che si sono presentati.
