“America First”. “La France avant tout”. “Prima gli italiani”. “Per la rivincita russa”. E potrei continuare.
La retorica nazionalista sbandierata con vigore da un capo all’altro del Pianeta è ormai senza freni. Il virus che fa perno sull’esaltazione dei concetti di identità nazionale e di Nazione è contagioso e rischia di propagarsi a dismisura se le democrazie si mostrano incapaci di mettere in campo i loro antidoti.
I dazi di Trump sull’acciaio e sull’alluminio (per ora) sono l’effetto di una intolleranza crescente verso ogni forma di regolamentazione internazionale venuta fuori dagli Accordi di Bretton Woods (1944) che diedero vita a Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e WTO. Dov’è finita quell’America dei grandi ideali e delle ampie visioni strategiche?
E’ curioso che la democrazia più grande del mondo affronti con misure protezionistiche – nutrite dai proclami nazionalistici – la sfida di un mercato interdipendente alimentato dai suoi stessi colossi (Amazon, Google, Facebook, eccetera). Condizionando – in negativo – il quadro delle relazioni internazionali. Il nazionalismo non muore mai.
E’ un mostro sempre pronto a rialzare la testa. Nel secolo scorso ha prodotto decine di milioni di morti. Non ne abbiamo nostalgia.