«Ammalarsi è sempre ingiusto, ma non ho mai pensato “perché capita di nuovo a me?”. Mi sono detta: “È successo, mi curo, torno e così è stato”. Sono uscita allo scoperto sui social perché avevo preso un impegno lavorativo e promesso di esibirmi a Malta. Siccome ho rispetto dei soldi degli altri, perché mi ricordo cosa significhi metterli da parte per andare a un concerto e lì c’era gente che li aveva già spesi, ho parlato. Altrimenti sarei stata in silenzio».
Silenzio che Emma Marrone ha in effetti mantenuto, dopo il post su Instagram di un mese fa in cui annunciava di non poter partecipare al concerto di Radio Italia a Malta e di doversi «fermare per affrontare un problema di salute» (il terzo intervento chirurgico in dieci anni, ne aveva 25 quando nel 2009 le venne diagnosticato un tumore all’utero). Silenzio che ora rompe solo con Vanity Fair che le dedica la copertina del numero in edicola da mercoledì 23 ottobre, due giorni prima dell’uscita del suo nuovo disco, Fortuna. Ecco quanto evidenziato da “Linkabile”:
«Mi hanno sempre descritta come una che non ha paura di niente, ma non è vero. Ho avuto paura, molta. Però non è la paura a provocarmi l’infelicità. Non lo è mai stata. (…) So affrontare il malessere fisico e tutto ciò che è legato a una malattia, ma delle malattie o della morte, come tanti, ho paura anche io. E poi ho paura di fallire, di non riuscire a realizzare i miei sogni, di restare sola, di non essere amata, capita, apprezzata, ad esempio, per quest’ultimo disco. Vorrei che fosse quello della rinascita artistica e non l’album da incensare soltanto perché sono stata male».
A proposito del titolo, Fortuna, Emma spiega a Vanity Fair di avere un’idea controcorrente su destino e felicità, e anche sul luogo comune del combattente che si ribella alla malattia. «Non ho mai creduto al destino né alla sfiga. Il metro della tua vita sei tu: è il tuo modo di scuoterti, di ovviare ai problemi, di affrontarli per quello che comportano che dà la cifra di quel che sei davvero. C’è gente a cui è andata sempre bene e gente a cui è andata sempre male, ma non è questo a determinare la tua felicità. A fare davvero la differenza non è mai quel che possiedi e, anche tre le persone a cui è andata sempre bene, non è che ne veda tante poi veramente felici».
Adesso, dopo l’operazione, dice di sentirsi «serena, azzarderei addirittura felicina»; dopo la scoperta del ritorno del male invece «ho pianto per due giorni perché ho imparato che tirare fuori tutto subito è meglio di covare il dolore, ma ero nera. Sentivo che la vita mi stava togliendo una possibilità. Ai medici continuavo a dire: “Fatemi cantare al concerto”. “Vasco Rossi ha scritto un pezzo per me”, “Non posso andare a Malta e operarmi dopo?”». I medici le hanno risposto che non era il caso di rischiare. «Ho dovuto accettarlo e ho capito una cosa fondamentale. Che accettare non significa farsi andare bene ogni cosa o aspettare passivamente quel che ti accadrà, ma costruire la propria serenità. Ho avuto un problema di salute, ma non l’ho combattuto né respinto. L’ho fatto mio, l’ho digerito, me lo sono fatto fatto scivolare addosso. Non sono arrabbiata e non sto combattendo. Per accettare una cosa del genere è necessaria molta più consapevolezza di quanto non ne serva per combattere. Accettare di stare di nuovo male mi ha aiutata ad arrivare all’intervento con serenità. Sono entrata in sala operatoria col sorriso e ne sono uscita nello stesso modo. L’operazione non mi ha incattivito: non sono arrabbiata con la vita, al limite alla vita sono grata».
La sua gratitudine, spiega a Vanity Fair, viene tra le altre cose da «un lavoro che mi dà la possibilità economica di poter scegliere la maniera migliore per curarmi e i medici giusti». Ma è una consapevolezza che le mette anche tristezza: «Invece di essere allegra, piango. Perché persone che si fanno il mazzo in fabbrica e lavorano il triplo di me meriterebbero di essere curate nello stesso modo e invece – non ci prendiamo in giro – la medicina non è uguale per tutti. Come vivono gli altri lo vedo tutti i giorni. Vado spesso al Bambin Gesù a trovare i bambini e mi sono passate accanto tante storiacce: genitori che non possono permettersi un b&b e per stare vicino ai figli dormono in macchina. Ecco cosa mi ha fatto davvero male nei giorni di cure, di tagli e di ospedali e di disordine emotivo: non tanto superare quello che mi è successo, ma pensare a chi è chiamato a sacrificare tutto senza avere niente. Non voglio sembrare paracula, ma è la verità».
Emma, che il 25 maggio festeggerà all’Arena di Verona i suoi 36 anni e i 10 di carriera, dice di essere stata molto colpita dalla reazione al suo annunzio. Per i pochi tuttologhi dei social («Mi hanno scritto di tutto: da “Ti sei ammalata perché mangi troppa carne” a “Ti sei ammalata perché hai molte vite irrisolte”), ci sono stati i tantissimi che le hanno mostrato «amore infinito» e rispetto: «Nessuno di quelli che mi vuole bene o delle persone che vengono ai miei concerti facendo molti sacrifici mi ha chiesto cosa avessi esattamente. Ma semplicemente: “Come stai?”. È come se il mio pubblico fosse cresciuto con me, fosse diventato maturo al mio stesso ritmo e fosse finalmente diventato il mio specchio. Nessuna curiosità morbosa, nessuna domanda indiscreta: solo la gioia di vedermi di nuovo in piedi. D’altra parte ogni tanto incontro lo sguardo pietoso degli altri e mi incazzo: non ho bisogno di nessun pietismo. Ma di rispetto. L’altra sera ero in un ristorante e una ragazza mi ha regalato un sorriso bellissimo. Stava dicendo : “Che meraviglia vederti tornare a sorridere con i tuoi amici”. A volte nel silenzio c’è tutto».