A due settimane dall’avvio della Fase 2, delle quasi 800 mila imprese del commercio e dei servizi che sono potute ripartire, l’82% ha riaperto l’attività: il 94% nell’abbigliamento e calzature, l’86% in altre attività del commercio e dei servizi ma solo il 73% dei bar e ristoranti. E’ quanto emerge da un’indagine di Confcommercio, che riporta l’Ansa, in collaborazione con SWG, in cui si evidenzia anche la lettura contraria dei dati: il 18% delle imprese che potevano riaprire non l’ha ancora fatto e la percentuale sale al 27% tra bar e ristoranti.
Soprattutto, per quasi il 30% delle imprese che hanno riaperto, rimane elevato il rischio di chiudere definitivamente a causa delle difficili condizioni di mercato, dell’eccesso di tasse e burocrazia e della carenza di liquidità.
Le dolenti note, spiega l’associazione dei commercianti, emergono dall’autovalutazione degli intervistati sul giro d’affari: già nella prima settimana la media dei giudizi si collocava largamente al di sotto della sufficienza. Nella settimana successiva questi timori si confermano: il 68% degli imprenditori dichiara che i ricavi delle prime due settimane sono inferiori alle aspettative, quando già le aspettative stesse erano piuttosto basse.
La stima delle perdite di ricavo rispetto ai periodi “normali” per oltre il 60% del campione è superiore al 50%, con un’accentuazione dei giudizi negativi nell’area dei bar e della ristorazione, segmento dove si concentrano maggiormente perdite anche fino al 70%.
“Purtroppo, le valutazioni conclusive sono fortemente negative. Fin qui, nell’esplorazione delle due indagini, svolte a distanza di una settimana, emerge una significativa oscillazione dei giudizi tra la voglia di tornare a fare business e percezioni piuttosto cupe sull’andamento dei ricavi, il tutto condito da un esplicito orientamento delle imprese volto a smussare l’impatto delle difficoltà e dei problemi”, segnala Confcommercio. Se nella prima settimana solo il 6% degli intervistati indicava un’elevata probabilità di chiusura dell’azienda, nella seconda ondata di interviste, a fronte di un ragionamento più articolato, il 28% degli intervistati afferma che, in assenza di un miglioramento delle attuali condizioni di business, valuterà la definitiva chiusura dell’azienda nei prossimi mesi. A corroborare questa suggestione intervengono i timori che nel prossimo futuro si dovrà comunque richiedere un prestito (50% del campione), non si sarà in grado di pagare i fornitori (40%) né di sostenere le spese fisse (43%).